The Forgotten Prisoners: auguri ad Amnesty International
Il rispetto dei diritti umani a qualunque latitudine, sotto qualunque cielo, guidati da qualunque tipo di governo, è un obiettivo ancora troppo lontano da noi uomini del XXI secolo; fortunatamente, però, c'è chi in questa battaglia crede ed ha sempre creduto, come Amnesty International. Ogni piccolo passo fatto in direzione di un miglioramento della nostra civiltà, in questo senso, è anche merito della grande organizzazione che conta oggi 2 milioni di sostenitori in 140 Stati, che ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1977 ed il Premio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel 1978.
Il 28 maggio di cinquant'anni fa veniva pubblicato un articolo sul The Observer intitolato The Forgotten Prisoners, I prigionieri dimenticati, accanto ad una lettera inviata dall'avvocato britannico, paladino dei diritti civili, Peter Benenson. Dopo aver letto su un quotidiano della terribile reclusione a cui erano stati condannati due studenti portoghesi, la cui colpa era quella di aver fatto un brindisi "alla libertà" durante il periodo di dittatura di Antonio de Oliveira Salazar, Benenson realizzò quanto fosse indispensabile destare le coscienze sulle situazioni che, in tutto il mondo, calpestavano letteralmente le conquiste fondamentali che l'umanità aveva fatto in secoli di storia, cristallizzate nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1945: fu così che sarebbe divenuto il fondatore dell'organizzazione che tanta strada avrebbe fatto e tante battaglie avrebbe vinto, in questi ultimi cinquant'anni.
"Aprite il vostro giornale e ogni giorno della settimana troverete un articolo proveniente da qualche parte del mondo che narra di qualcuno che è stato imprigionato, torturato o giustiziato perché le sue opinioni o la sua religione sono inaccettabili per il governo. Ci sono milioni di persone in prigione -non tutti dietro la cortina di ferro o di bambù- ed il loro numero è in crescita. Il lettore del giornale avverte un nauseante senso di impotenza. Tuttavia se questi sentimenti di disgusto potessero essere uniti in tutto il mondo in un'azione comune, qualcosa di efficace potrebbe essere fatto." Con queste parole, Benenson apriva la propria lettera, esortando ad un'azione che potesse andare oltre l'indignazione, affinché queste ingiustizie che in tutto il mondo piegano e si accaniscono contro i più deboli, potessero essere realmente fermate.
Immediata fu la reazione in tutto il mondo e fu così che da un piccolo appello, nel luglio, sarebbe nata la grande organizzazione non governativa e sopranazionale che si batte per i diritti umani umani, contribuendo inoltre all'informazione di tutti i cittadini, tramite la diffusione di rapporti annuali. La strada da fare è innegabilmente ancora tanta: i grandi uomini come Peter Benenson, tutti i sostenitori e coloro i quali lavorano per Amnesty International, sono gravati quotidianamente dal peso di doversi scontrare contro una realtà fatta innanzitutto di ingiustizia, miseria, crudeltà e sopraffazione. E tuttavia, nonostante questo, c'è invero chi ha la forza per reagire ed indignarsi, chi ha a cuore il destino degli ultimi sulla terra, abbandonati in carceri di Stati di cui a stento si conoscono i nomi o, talvolta, talmente vicini ai nostri confini da lasciarci impressionati: grazie, dunque, ad Amnesty International, perché con il suo lavoro quotidiano dà ancora una speranza alla nostra stanca umanità. Con l'augurio che questi decenni di piccoli progressi, possano essere solo l'inizio: un inizio nato semplicemente da una lettera accorata ad un quotidiano cinquant'anni fa, la prova che per il bene del mondo nessuna sfida è impossibile.