Test sierologici: per Rezza (Iss) non sono attendibili al 100%, ma la Lombardia è pronta a usarli
Nella conferenza stampa di ieri il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana ha annunciato che al Policlinico San Matteo di Pavia è stato individuato un test sierologico affidabile che tra due settimane potrà anche essere utilizzato sulla popolazione. Si tratta di un test che attraverso un prelievo di sangue consente di verificare chi ha sviluppato gli anticorpi del coronavirus, chi ha dunque contratto il virus ed è guarito, avendo sviluppato gli anticorpi che permettono di non ammalarsi di nuovo. Un test che permetterà a chi risulterà positivo di ottenere una sorta di "patente d'immunità": gli anticorpi prodotti infatti non permetteranno alla persona di ammalarsi di nuovo. Chi invece risulterà negativo vuol dire dovrà continuare ad adottare le misure precauzionali del caso per non ammalarsi e a proteggersi dal virus. "Tra due settimane attendiamo certificazione CE e poi passiamo partire", ha concluso il governatore Fontana.
Non sappiamo se immunità è permanente: nessuna certezza su test sierologici
Sul tema però contemporaneamente ha espresso il suo parere anche il professor Giovanni Rezza dell'Istituto superiore di Sanità che ha parlato di caratteristiche non soddisfacenti per quanto riguarda i test sierologici: "La sensibilità non è al 100% e si sta valutando – ha spiegato Rezza – sono utilissimi, servono però a fare un primo screening". Il professore ha anche aggiunto che c'è un fattore importante da tenere in considerazione, ovvero quello del falso positivo: "Se facessi un test anticorpale sarei contento, però non mi avvicinerei a qualcuno a più di un metro perché mi resterebbe un dubbio, visto che le caratteristiche del test non sono così sviluppate da avere certezza – ha continuato il professore dell'Istituto Suoperiore di Sanità – poi sull'immunità bisogna capire se questa è permanente o no. Non abbiamo sufficiente follow-up per dirlo".
I test sierologici hanno un margine di errore e non risolvono il problema
Dello stesso parere sembra essere anche il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università Statale di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, che in un'intervista a Fanpage.it ha spiegato che i test sierologici non risolvono il problema e che anche il tema della patente di immunità andrebbe discusso poiché si rischia di darla anche a chi ha ancora la malattia in corso: "Il test positivo Igg si può evidenziare in diverse situazioni, a malattia ancora in atto, bisogna quindi fare anche un tampone: questo perché l'organismo produce due tipi di immunoglobuline, quelle cosiddette Igm che vanno dai 7 ai 20 giorni, e sono il segno di un'infezione in atto, sostanzialmente, con però un periodo "finestra" di una settimana. E poi ci sono le Igg che cominciano dal 14esimo giorno e possono essere associate alla protezione successiva, ma che ovviamente ci sono già durante la malattia", ha spiegato il virologo. In altre parole sarebbe necessario comunque un tampone per poter dire con certezza che quella positività è solo un segno della pregressa infezione.
Di fatto il test rivela la quantità totale di anticorpi e l’eventuale presenza di quelli neutralizzanti, che permettono di considerare immune una persona: non si può dunque escludere la potenziale infettività, che si può accertare solo con il doppio tampone classico negativo. Con i test rapidi, però, si potrebbe evitare il secondo tampone finale a soggetti già negativi, nel caso in cui abbiano un’alta presenza di anticorpi neutralizzanti. Anche in questo caso, questi ultimi pur stando bene potrebbero ancora essere infettivi e dovrebbero quindi stare ancora a casa per altri sette giorni. In Italia l’impiego dovrebbe avvenire in maniera prioritario sul personale sanitario, quindi medici e infermieri. Poi si potrebbe passare allo screening di massa per la fase due.