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Terrorismo, esistono davvero 500 minori detenuti “a rischio Jihad”?

Per il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti il pericolo esiste per centinaia di ragazzi “a rischio altissimo di radicalizzazione”. Ma secondo l’associazione Antigone non c’è nessun dato allarmante.
A cura di Claudia Torrisi
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In un'intervista rilasciata a Repubblica, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha parlato di un pericolo radicalizzazione dei minori presenti nelle carceri italiane. "Cito un dato allarmante che mi è stato trasmesso pochi giorni fa: metà dei reclusi nei penitenziari minorili italiani sono musulmani. In cella ci sono circa cinquecento ragazzi, abituati a stare su Internet come tutti i loro coetanei. E per questo possono facilmente entrare in contatto con i siti che predicano la Jihad: sono a rischio altissimo di radicalizzazione", ha detto Roberti, precisando che "in Italia pensiamo di correre pericoli inferiori ai francesi e ai belgi. Probabilmente è vero: la comunità musulmana nel nostro paese è diversa, le seconde generazioni qui sono ancora adolescenti. Ma se non interveniamo subito, tra cinque-dieci anni ci troveremo nella stessa situazione di Bruxelles o delle banlieue parigine". Il titolo di quest'intervista – "500 minori a rischio Jihad" – è rimbalzato un po' ovunque, creando allarmismo e paura.

Esiste, quindi, un concreto pericolo nelle carceri minorili? Nonostante nell'intervista si citino 500 ragazzi a rischio, gli ultimi dati diffusi dal ministero della Giustizia parlano di 449 detenuti in totale dentro gli istituti di pena per minori di tutta Italia – di cui solo 174 effettivamente sotto i diciotto anni. Partendo da questi numeri Susanna Marietti, coordinatrice dell'associazione Antigone, ha criticato le esternazioni di Roberti. "Effettivamente – scritto sul suo blog – in cella ci sono circa (molto circa) 500 ragazzi, non tutti minori, ma non sono affatto abituati a stare su internet e ad entrare in contatto con i siti jihadisti. In carcere il web non si usa affatto, se non per lodevoli eccezioni comunque sempre estremamente controllate e supervisionate". Anche l'argomento della forte presenza musulmana è destinato a cadere. Degli oltre 400 ragazzi detenuti, al 31 dicembre 2015 c'erano 244 italiani e 54 provenienti da altri paesi dell'Unione europea, tra cui i musulmani rivestivano una porzione residuale – circa 117 – che, scrive Marietti, "oltre a non andare su internet non si vede perché debbano essere pregiudizialmente considerati ‘a rischio altissimo di radicalizzazione'".

Per Antigone, insomma, non c'è nessun dato allarmante: "Ci sono dei ragazzi che i bravissimi operatori che lavorano nelle carceri minorili sapranno ben gestire, sapranno aiutare a reintegrarsi nel tessuto della scuola, della formazione, del lavoro, delle relazioni famigliari. Ci sono dei ragazzi che dobbiamo convincere a non tornare più a delinquere attraverso l’esempio di noi adulti, dell’istituzione che hanno attorno, garantendo loro diritti e inserendoli in un modello educativo. Ci sono dei ragazzi da affrontare attraverso il dialogo. Ci sono dei ragazzi che non possiamo permetterci di etichettare come potenziali terroristi".

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