L'aspetto più struggente di questo distruggente terremoto è il tempismo con cui arriva al cuore di una speranza già affaticata perché provata dal dormire fuori casa e dai calcoli fatti in testa per provare a immaginare quanto costi tornare normali. Non è solo questione di chiese abbattute o abitazioni non più sicure: a Norcia e dintorni s'è usurata un tentativo di visione del futuro che andava urgentemente rammendato e invece ha subito l'ennesimo strappo. È tutto finito? No, certo che no ma forse una riflessione sulla speranza dobbiamo concederla. Prenderci un minuto.
La ricostruzione (che sia dopo un terremoto, dopo un lutto che squarcia mancanze o una crisi apparentemente irrisolvibile) non è materia ingegneristica o amministrativa ma piuttosto un percorso profondamente umano: ricostruire significa soprattutto iniettare la capacità di immaginare una soluzione e prevederne i passaggi. Lì dove oggi le strade sono sbordate si vorrebbe solo sentire che questa è stata l'ultima scossa, che non ce ne saranno più, con la garanzie che non verranno abortite le prossime ripartenze; e questo non è né credibile né possibile.
Dobbiamo avere cura della speranza. Nutrirla con una vicinanza non pelosa, raccontarla con la consapevolezza di chi sa bene quanto sia il motore sociale di un Paese e soprattutto quanto lì dentro ci siamo noi e mica solo i disperati. Scriveva Emile Cioran:
Quello che irrita nella disperazione è la sua fondatezza, la sua evidenza, la sua «documentazione»: è cronaca. Esaminate, invece, la speranza, la sua munificenza nella falsità, la sua mania affabulatrice, il suo rifiuto dell’evento: un’aberrazione, una finzione. Proprio in questa aberrazione risiede la vita, proprio di questa finzione essa si nutre.
La disperazione degli abitanti inginocchiati davanti alla basilica ha la forma e l'odore delle macerie che gli stanno intorno. La guerra di numeri sulla magnitudo è l'ossessiva e compulsiva reazione di chi spera di riuscire a certificare un evento per averne meno paura mentre il futuro (anche quello più prossimo del cosa mangiare o del dove dormire) è tutto una sequela di verbi al condizionale, di previsioni discordanti e soldi futuribili.
Per questo credo che la discussione non sia solo sulle (gravissime) bufale o strumentalizzazioni si alcuni esponenti politici, questo terremoto è una prova di maturità per tutti: per noi che ne scriviamo, per quelli che lo raccontano, per chi prospetta tempi e soluzioni, per chi semplicemente ne discute. Per tutti. In un momento in cui la disperazione è diventata un'affilatissima arma politica costruire speranza è la vera sfida. Non proiettarla: costruirla, curarla, carpirne il senso e il valore e trattarla con misura. Misura: quella stessa misura che oggi sembra rara e fuori moda.
Se questo Paese reimparerà la solidarietà della speranza questo terremoto sarà stato meno doloroso.