Terremoto L’Aquila, i due miliardi stanziati dall’Inail bloccati dalla burocrazia
Sono passati millesettecento giorni circa dal terremoto che ha colpito L'Aquila. Quattro anni e mezzo durante i quali molto si è detto e poco si è fatto, evidentemente, per ridestare una città devastata. Anche di fronte ad una tragedia di simili proporzioni (309 morti, senza considerare i danni provocati dal sisma) la (mala)burocrazia italiana non sia riuscita ancora ad assicura un minimo di criterio ed efficienza. Oggi il Corriere della Sera scrive infatti di come del tesoretto da 2 miliardi messo a disposizione dall’Inail per la ricostruzione non sia stato ancora speso un euro. Nel frattempo il centro storico del L'Aquila è ancora fermo: transenne, palazzi celati dai ponteggi, silenzio ‘rumoroso'. Quei soldi, scrive Lorenzo Salvia sul Corsera, sarebbero dovuti servire per recuperare il centro storico, rimettere a posto le strutture sanitarie, creare un nuovo campus universitario, oltre che per interventi mirati sui beni culturali e sul tessuto urbano. E invece non sono stati neanche minimamente toccati, come conferma Giuseppe Lucibello, direttore generale dell’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro: "La cosa fa una certa rabbia ma, purtroppo, quei fondi non sono stati nemmeno toccati", dice al quotidiano di via Solferino.
Ma com'è potuto succedere che quei soldi non siano mai arrivati a destinazione? Lo spiega il Corriere:
L’istituto è uno dei pochissimi pezzi della pubblica amministrazione che chiude i suoi conti in attivo: i contributi incassati superano le indennità erogate e il surplus viene girato per legge al Tesoro che lo usa per tenere in equilibrio i conti pubblici. Dopo il terremoto dell’Aquila, però, si decide di fare un’eccezione e riservare una parte di quei soldi alla ricostruzione. Il primo peccato è stato originale. Si era previsto che gli interventi dell’Inail potessero avvenire solo nella cosiddetta forma indiretta. E cioè con un lungo procedimento che comincia con il bando, prosegue con le manifestazioni di interesse, per poi passare alla valutazione dei progetti da parte di un advisor e chiudere con l’analisi di compatibilità fatta dai ministeri vigilanti.
Troppi passaggi, troppe norme: alla fine, non se n'è più fatto niente. E così, mentre scarseggiano i soldi per la ricostruzione, in cassaforte sonnecchiano due miliardi di euro che nessuno vuole.