Terra dei fuochi: bonifiche a rischio infiltrazioni mafiose e il fango sui cittadini che protestano
Questo articolo esce in contemporanea su Valigia Blu e Fanpage, che hanno deciso di realizzare insieme un reportage sui rifiuti in Campania e sulla Terra dei Fuochi. Qui la prima parte.
«La camorra non sia un alibi. La responsabilità è politica». Amalia De Simone, giornalista di inchiesta che lavora per Corriere.it e che da anni si occupa della Terra dei Fuochi, è lapidaria. Certo, precisa, la camorra è al centro del business dei rifiuti, ma chi ha firmato contratti illegittimi, chi ha permesso lo sversamento di percolato in mare? Chi ha fatto finta di fare le bonifiche in questi anni? E ricorda, nell’intervista che ci ha rilasciato, gli incontri certi e di (presunti) accordi tra apparati dello Stato, servizi segreti e camorra con al centro la latitanza del boss dei casalesi Zagaria e la vicenda dell’emergenza rifiuti.
«L’attenzione sui morti e sulle bonifiche – Amalia ne è certa – è quanto meno sospetta». Vuol dire che ci sono i soldi e si vuole «convincere» l’opinione pubblica delle necessità delle bonifiche. Che certo vanno fatte, ma bisogna monitorare, tenere sotto controllo i bandi e gli appalti. Fare le radiografie alle società che partecipano alle gare e a cui saranno affidati i lavori. La capacità della criminalità organizzata di infiltrarsi, mimetizzarsi è spaventosa. Il rischio altissimo è che metta le mani sui soldi stanziati per bonificare chi si è arricchito avvelenando il territorio. «Oggi parliamo delle bonifiche al Sud – aggiunge – fra qualche anno parleremo di quelle al Nord, visto che ora è lì che stanno sversando».
D’altra parte negli anni passati si è assistito allo spreco di una mole immensa di denaro pubblico in nome di bonifiche mai viste. Un sistema, quello delle bonifiche fantasma (la Legge Ronchi del 1997 istituisce 57 Sin – Siti di Interesse Nazionale, aree gravemente inquinate per cui lo Stato italiano ritiene indispensabile la bonifica), ben descritto e documentato dai giornalisti Andreina Baccaro e Antonio Musella nel libro-inchiesta Il Paese dei veleni. Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata.
Il “sistema delle bonifiche” ha avuto come scopo l’indirizzo di ingenti quantità di finanziamenti pubblici utilizzati principalmente per studi e consulenze di cui hanno beneficiato alcuni funzionari pubblici… Parcelle da capogiro per consulenti esterni che si limitavano a studiare il “malato”. Ma di bonifiche nemmeno l’ombra…
Nel 2011, per fare un esempio, furono sbloccati 50 milioni di euro per bonificare l’area ex Resit nel Comune di Giugliano. E siamo arrivati ad oggi con l’attuale commissario regionale alle bonifiche, Mario De Biase, che il 6 giugno scorso ha dichiarato: «Altro che bonifica, per Giugliano ci vuole un sarcofago come Chernobyl. Non basterebbero due finanziarie».
In ogni caso, parlare di bonifiche senza prima fermare gli sversamenti illeciti di rifiuti e i roghi tossici, che continuano incessantemente, è inutile se non una follia.
Su questo è intervenuto anche il Coordinamento Comitati Fuochi con un comunicato durissimo:
Il sospetto è che dopo l’avvelenamento, concertato a tavolino, dall’oliato sistema di imprenditori senza scrupoli, politici ignavi e corrotti e criminalità organizzata, adesso si fiuti e ci si avventi, con altrettanta ingordigia, sul business multimilionario della “rimozione di terra”. Ebbene sì, il fondato sospetto è che si voglia approfittare del momento di ribellione e di crisi dell’edilizia per mettere in moto una grande quantità di mezzi di movimento terra per smuovere veleno dalle nostre terre e avvelenare altrove, dissipando come sempre ingenti risorse della collettività e arricchendo i soliti noti criminali, proprio quelli che hanno avvelenato.
Sui fondi per le bonifiche, inoltre, il Coordinamento avverte:
I fondi per le bonifiche non devono servire nemmeno, come fatto in maniera fallimentare fino ad oggi, per rimpolpare le tasche di dirigenti di enti appositamente costituiti per essere ricettacolo di voti […]. Bisogna partire con una chiara mappatura delle zone, ragionando non sui singoli siti ma sulle AREE VASTE che li circondano, con inibizione alle colture nell’intera area, riconversione al no food diretto a filiere produttive e non alle biomasse, isolamento delle falde compromesse.
Intanto la Regione Campania, nell’ambito delle iniziative di contrasto al fenomeno dei roghi, ha pubblicato un bando per l’assegnazione di finanziamenti (sono stati stanziati complessivamente 5 milioni di euro) ai Comuni delle province di Napoli e Caserta per attività di controllo e tutela ambientale.
Sul versante bonifiche invece, in questi giorni, proprio il Presidente della Regione, Stefano Caldoro, ha dipinto una situazione agghiacciante, citando i dati contenuti nella relazione della Procura della Repubblica che sta indagando sull’inquinamento di quei territori:
Serviranno 80 anni circa per bonificare i territori dell’area nord di Napoli. Per l’inquinamento dell’area la bonifica non sarà completa prima del 2050 e, per quanto riguarda il percolato, senza avviare gli interventi, dovremmo aspettare fino al 2080. Sono solo aree specifiche della Campania ma è un’emergenza nazionale, non riguarda soltanto noi come regione. Siamo stati per anni lo sversatoio dell’Italia e dell’Europa.
Il danno ambientale, i casi di tumore e il cinismo sulla pelle dei cittadini
Ora questo bisognerebbe spiegarlo a chi, in questi giorni, sta cinicamente e volgarmente gettando fango sui cittadini che continuano a protestare e chiedono il rispetto dei loro diritti e della loro terra. Bisognerebbe farlo capire anche a chi parla di «fuochisti di professione», come se la protesta ruotasse intorno ai rifiuti urbani (!)… Ingenuità, disinformazione o malafede?
Lo stesso Caldoro lo ha ammesso, pur con la prevedibile cautela istituzionale:
Non sappiamo quali effetti abbiano avuto queste contaminazioni sulla salute dei cittadini. Certo il danno ambientale, che deve essere valutato dagli organi competenti e senza creare allarmismi, ha conseguenze sulla salute, il problema è capire qual è l’impatto prodotto.
Nell’articolo precedente dedicato alla Terra dei Fuochi, avevamo segnalato uno studio, commissionato dalla Protezione Civile nel 2004, che aveva individuato la correlazione tra inquinamento ambientale e crescita dei tumori. Vale la pena riportare un commento su questo studio di Pietro Comba, responsabile del dipartimento Epidemiologia Ambientale dell’Istituto Superiore della Sanità.
Lo studio ha rilevato percentuali del 9% in più per gli uomini e del 12% in più per le donne di rischio di morire di tumore e l’84% in più di possibilità di far nascere un bambino con malformazioni congenite, se si risiede nei comuni di Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castel Volturno, Giugliano in Campania, Marcianise e Villa Literno. E se questi otto comuni sono quelli potenzialmente più pericolosi, in molti comuni della provincia di Napoli e Caserta, esiste in media un incremento del 2% della mortalità ed un eccesso del 4% di malformazioni dell’apparato urogenitale e nervoso per la popolazione residente nelle zone maggiormente interessate da pratiche illegali di smaltimento e incenerimento di rifiuti solidi urbani e pericolosi.
Vale la pena ricordare anche il lungo reportage pubblicato dal quotidiano britannico The Independent nel 2012 sul Triangolo della Morte (Acerra-Nola-Marigliano) e l’aumento di casi di tumore legati al deposito di rifiuti illegali, dove si parla di un report del cardiologo Alfredo Mazza pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology:
La sua ricerca ha rivelato che in questa zona l’incidenza di alcuni tipi di cancro è massicciamente più alta che nel resto d’Italia. In tutta Italia, in media, 14 maschi ogni 100.000 muoiono di cancro al fegato, qui, era 35,9. L’incidenza di cancro alla vescica è quasi due volte più alta, di leucemia il 30 per cento superiore. E anche se non poteva dimostrarlo, [Alfredo Mazza] credeva ci fosse una spiegazione. “Duecentocinquantamila persone nella regione sono state esposte a sostanze inquinanti tossiche per decenni”, ha detto. ”Le sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua e in prodotti della zona sono ben al di sopra dei livelli di norma”.
Nel 2012 uno studio dell’Istituto oncologico Pascale di Napoli e l’ebook Campania, terra dei veleni del prof. Antonio Giordano, ordinario di Anatomia e istologia patologica presso l’Università di Siena, certificarono l’aumento di tumori nelle zone interessate dalle discariche e dagli interramenti di rifiuti tossici. Il prof. Giordano parlò addirittura di Dna bucato e indebolito dei cittadini campani.
Un danno irreversibile all’economia e al turismo
Tutto questo ovviamente sta avendo pesanti ripercussioni anche sull’economia del territorio. Subito dopo le dichiarazioni di Caldoro, infatti, è intervenuta la Coldiretti Campania chiedendo dati certi sui siti inquinati e lanciando l’allarme: sono a rischio migliaia di aziende. In una lettera inviata a Caldoro si legge:
Le aziende agricole e di allevamento in Campania sono oltre 135mila, l’8 per cento del Paese, e si tratta dell’unico settore che è in controtendenza rispetto agli altri e ha registrato un boom di assunzioni del 10.6 per cento: è questo il patrimonio che rischia di essere danneggiato dall’emergenza rifiuti legata ai roghi e agli sversamenti nella cosiddetta Terra dei Fuochi… Abbiamo 13 dop, 8 igp, 4 docg, 15 doc, 10 igt e 335 prodotti tradizionali che arricchiscono il nostro paniere. Tutto questo si traduce in un business di rilievo per il territorio regionale. Basti pensare che, in un momento di forte recessione economica, l’export dei prodotti agroalimentari campani è valso 2,1 miliardi di euro nel solo terzo trimestre 2012, più di quanto abbiamo fatto nell’intero 2011.
Anche il presidente della Camera di Commercio di Napoli, Maurizio Maddaloni, ha parlato di danni irreversibili che «l’allarme sulla Terra dei fuochi sta provocando alle imprese, all’export campano e al turismo».
Intanto gli ipermercati già non comprano più frutta e ortaggi dalla Campania. Non c’è controllo, non c’è tracciabilità e la grande distribuzione non si fida dei prodotti agroalimentari campani. Si sta passando dall’emergenza al disastro, come dice Ferdinando Flagiello, del consorzio Promos.
La storia di Lucia e la speranza
Quella di Lucia è la storia di un risveglio civico. Potrebbe essere la storia simbolica di cittadini che si sono risvegliati, che grazie ai comitati sorti sul territorio hanno deciso di mobilitarsi. E che oggi, con la loro mobilitazione permanente, stanno costringendo la politica, a livello locale e nazionale, a occuparsi seriamente della tragedia della Terra dei Fuochi.
Ho deciso di impegnarmi in prima persona nel 2007. È stata la puzza a svegliarmi. C’eravamo trasferiti qui, nella Campania felix, nel ’91 da Napoli. Pensavamo di migliorare la nostra vita e non sapevamo, non potevamo immaginare in quale inferno saremmo venuti a vivere.
Percorriamo i luoghi storici delle discariche e dell’interramento di rifiuti tossici. Lungo la strada vediamo discariche improvvisate, discariche e terreni sotto sequestro, roghi tossici. Mi racconta la sua storia di cittadina che diventa attivista:
Mi sono informata, ho letto. Mi sono documentata. E ho capito. Ho capito che la democrazia mi metteva a disposizione gli strumenti per proteggere i miei diritti. Ho cominciato a documentare tutto, la notte inseguivamo i camion che sversavano illegalmente. Facevo video, foto e poi andavo dai carabinieri a denunciare. Abbiamo costretto la politica, le autorità assenti, indifferenti a occuparsi di noi.
Lucia, come la madre, la cognata e una delle figlie, si è ammalata alla tiroide. Suo padre è morto di tumore ai polmoni. Quando le chiedi se si senta tradita dalla politica, se non pensa che questo impegno sia una lotta contro i mulini a vento, risponde senza pensarci molto:
No, non mi sento tradita. Io ci credo nella politica. La politica è anche quello che faccio io. Sì è anche una lotta contro i mulini a vento. Ma io lo voglio fare. Sento che devo lottare. Voglio andare via da qui, ma fino a quando resterò io non smetterò di denunciare e di chiedere giustizia.
Le proteste sono riuscite per ora a fermare il bando per la costruzione del termovalorizzatore di Giugliano. «Ci sono forti interessi criminali intorno a questi lavori. Se davvero si fa l’inceneritore vorrà dire che Stato di camorra o camorra di Stato sono la stessa cosa» dice Lucia, non riuscendo a trattenere la rabbia. In merito allo smaltimento dei 6 milioni di tonnellate di ecoballe – che di eco hanno ben poco – rimane comunque una certa confusione istituzionale, e c’è chi, tra le associazioni, oltre la protesta fa proposte concrete sulle cose da fare.
È questa la speranza. Ha ragione Amalia De Simone che, alla fine del nostro incontro, quando le chiedo se c’è speranza per questa gente, per questi territori, mi risponde:
Fondamentalmente io la speranza ce l’ho, altrimenti non insisterei così tanto… Credo che ci sia una consapevolezza e anche un’organizzazione da parte della gente che in questo momento pesa ed è importante che non facciano passi indietro. Bisogna fare in modo che tutto questo non si spenga.
(Hanno collaborato: Roberta Aiello, Matteo Pascoletti, Angelo Romano, Alessio Viscardi)