Telmo Pievani: “Umanità vittima di una trappola evolutiva, abbandonare subito le fonti fossili”
Due giorni fa António Guterres, segretario generale dell'ONU, ha lanciato un nuovo allarme sullo stato del clima. "Metà dell'umanità si trova nella zona di pericolo a causa di inondazioni, siccità, tempeste estreme e incendi. Nessuna nazione è al sicuro. Eppure continuiamo ad alimentare la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Abbiamo una scelta. Azione collettiva o suicidio collettivo. Il futuro è nelle nostre mani".
Complice la crisi di governo, in Italia le parole di Guterres sono state pressoché ignorate. Eppure il tono ultimativo avrebbe dovuto interrogare la classe dirigente del nostro Paese e i singoli cittadini, spronarli a un severo esame di coscienza su quanto è stato fatto e sull'urgenza di ridurre al massimo le emissioni di CO2 fin da subito. Il messaggio è chiaro: "Non c'è più tempo da perdere". A confermarlo, intervistato da Fanpage.it, il professor Telmo Pievani, filosofo della biologia, evoluzionista e saggista.
Secondo il segretario generale dell’ONU l’umanità va verso un "suicidio collettivo". È così?
Guterres ha perfettamente ragione. Non ha fatto altro che sintetizzare ciò che noi scienziati troviamo scritto ogni settimana – e sottolineo ogni settimana – sulle maggiori riviste scientifiche del mondo. Faccio un esempio che è passato del tutto inosservato. Tre settimane fa Science ha pubblicato un lungo articolo corredato di molti dati il cui sunto è questo: sono già saltati gli accordi di Parigi, non li rispetteremo mai perché siamo già a +1,25 gradi di riscaldamento rispetto all'era pre-industriale, e avremmo dovuto rimanere sotto gli 1,5 gradi entro la fine di questo secolo. Ormai è pressoché impossibile restare dentro quel limite. Tutti gli accordi stipulati finora sono saltati perché le emissioni di gas serra, nonostante la pandemia, sono continuate ad aumentare. Insomma, non solo non stiamo facendo abbastanza, ma continuiamo la nostra folle corsa verso il surriscaldamento globale. Ci costerà molto caro…
La specie umana sarà in grado di adattarsi a cambiamenti climatici così repentini?
Sì, ma a un prezzo altissimo soprattutto per le persone meno abbienti. La specie umana riuscirà a sopravvivere perché dispone di tecnologie che – fino a un certo punto – le permetteranno di difendersi. Il mondo però diventerà molto più insicuro, inospitale e instabile, e non mi riferisco solo ad eventi meteo estremi come alluvioni, incendi, siccità, fusione dei ghiacciai e ondate di calore, ma alle conseguenze nei Paesi più poveri. Sappiamo già, ad esempio, che aumenteranno le migrazioni di centinaia di milioni di esseri umani.
Di fronte a ogni evento estremo ci comportiamo come si trattasse di un'emergenza improvvisa.
E mi stupisco. Sono fenomeni che gli scienziati descrivono da decenni. Non si tratta di calamità naturali, rappresentano ormai la normalità di quello che accadrà nei prossimi decenni.
Lei è un biologo evoluzionista, quindi le dobbiamo fare questa domanda: siamo l’unica specie che opera attivamente per la sua "auto-distruzione"?
È una bella domanda. Nel caso della specie umana noi scienziati parliamo di "trappola evolutiva".
Di cosa si tratta?
Semplifico: ci sono varie specie che si adattano al mondo plasmandolo, cioè modificandolo. Sono i cosiddetti "ingegneri ecosistemici". Lo sono, ad esempio, i castori che costruiscono dighe e facendolo modificano il corso dei fiumi rendendo quell'ambiente più adatto a loro. Anche noi homo sapiens siamo ingegneri ecosistemici, ma abbiamo cambiato il mondo in modo talmente pervasivo, rapido ed invasivo che ci siamo infilati in una trappola evolutiva. Abbiamo modificato a nostro vantaggio l'ambiente che ci circonda deforestando, scavando miniere, deviando il corso dei fiumi ed estraendo combustibili fossili che abbiamo bruciato in atmosfera. Il problema è che i nostri figli in futuro dovranno adattarsi a un pianeta che abbiamo mutato troppo repentinamente, impoverendolo. La trappola è questa. La natura ci sta presentando il conto.
Quali sono le conseguenze del cambiamento climatico sulla biodiversità?
La biodiversità è fondamentale ed è in drammatico calo da ormai mezzo secolo. Ad esempio: nelle acque dolci è diminuita di oltre l'80% dal 1970 ad oggi. Abbiamo fatto fuori 8 specie su 10 tra quelle che abitavano in laghi e fiumi. È qualcosa di mostruoso che non si era visto neppure con gli impatti degli asteroidi o con le altre grandi catastrofi del passato. Come se non bastasse questo fenomeno è ulteriormente accelerato dal cambiamento climatico che è così veloce da non dare tempo alle specie di adattarsi, perché l'evoluzione è un processo lento, che richiede intere generazioni. Prendiamo gli uccelli migratori: con le stagioni sfasate non riescono ad adattarsi abbastanza velocemente e trovano i nidi occupati da altre specie. Le piante, invece, stanno reagendo in modo sorprendente: visto che le temperature aumentano, sono salite di quota e ora alcune di loro crescono anche ad altitudini inedite.
Perché la biodiversità è così importante?
Non si tratta solo di "salvare una rana o il panda" dall'estinzione, perché dalla biodiversità dipendono elementi fondamentali per la vita umana come la fertilità dei suoli, la qualità dell'aria, l'impollinazione del 70% della frutta e verdura che consumiamo a tavola.
La situazione è drammatica e lo sappiamo da decenni. Eppure per la politica quello del cambiamento climatico appare sempre come un tema secondario. Perché?
Credo che il primo problema sia quello dell'incomprensione: la classe dirigente, non solo quella italiana, non ha capito la gravità della situazione. Ogni volta che mi capita di parlare con dei politici mi accorgo che la loro agenda è completamente diversa e che le loro priorità sono altre. Poi c'è un secondo problema: gli interventi sul cambiamento climatico e sulla biodiversità sono molto costosi, e la politica fa una fatica tremenda a spendere adesso per ottenere risultati in un futuro magari molto lontano. Chi deve farsi eleggere vuole risultati immediati e visibili fin da subito, sono pochi i personaggi in possesso di una visione sufficientemente lungimirante. C'è poi una terza ragione: gli interessi economici enormi che ci sono dietro le fonti fossili e che resistono tenacemente affinché la transizione alle fonti di energia rinnovabile sia più lenta possibile.
Parliamo di questo: la lotta al cambiamento climatico è possibile senza un radicale cambiamento del nostro modello di sviluppo?
No, senza alcun dubbio. Quelli contro climate change e distruzione della biodiversità sono interventi che richiedono un profondo cambiamento del nostro modello economico: dobbiamo abbattere i consumi, cambiare il commercio, costruire un'economia circolare e realizzare una transizione vera verso le fonti rinnovabili. Lo stiamo facendo, ma a un ritmo troppo lento. E in questo quadro la guerra di aggressione della Russia all'Ucraina non fa che complicare ulteriormente le cose perché rallenta drammaticamente la possibilità di stipulare accordi internazionali: voi ce li vedete USA, Russia e Cina seduti intorno a un tavolo a discutere di clima e biodiversità? Purtroppo per i prossimi anni dobbiamo aspettarci un accaparramento delle risorse fossili che peggiorerà le emissioni di CO2. La guerra è un acceleratore della crisi climatica. C'è però una speranza recondita.
Quale?
Quella che italiani ed europei si accorgano il prossimo inverno che dovranno abbassare i riscaldamenti di 2 gradi. Speriamo che questo shock ci faccia capire che dobbiamo accelerare la transizione energetica, ma è necessaria una spinta dal basso: servono movimenti, dure proteste e una richiesta di cambiamento radicale. E bisognerà stare alla larga dalle soluzioni semplici dei populisti, che possono rappresentare una pietra tombale su ogni residua speranza di rallentare il cambiamento climatico.
E se la spinta dal basso non arriverà? Arriveremo prima o poi una "dittatura climatica"?
Questa prospettiva esiste e se ne discute tra molti analisti. Dobbiamo essere realisti: secondo i modelli scientifici se non saremo abbastanza veloci nel completare la transizione ecologica pagheremo un prezzo sempre più alto e saremo costretti a prendere decisioni sempre più emergenziali. Per questo la politica deve assumersi le sue responsabilità e deve farlo da subito. Per quanto mi riguarda l'unico dogma è che non si esca mai da una discussione democratica.
Cosa potrebbe accadere all’Italia? Come diventerà il nostro Paese, se non faremo niente?
Lo descriviamo io e il geografo Mauro Varotto nel libro "Viaggio nell'Italia dell'Antropocene". Se non faremo nulla, se andrà tutto male, i mari si solleveranno di 65 metri e tra 700 anni la Pianura Padana sarà sommersa, il mare arriverà a Lodi e le coste di Marche, Abruzzo e Molise somiglieranno a fiordi. Roma sarà una città tropicale e la Sicilia un deserto roccioso. Questa non è fantascienza: è quello che dicono i modelli scientifici, nella peggiore delle ipotesi.