Taglio del cuneo fiscale, chi perde e chi ci guadagna nel 2023 con la possibile riforma
Il taglio del cuneo fiscale è tra le misure annunciate per la prossima legge di bilancio, che verrà discussa questa sera dal Consiglio dei ministri. Secondo quanto anticipato dagli esponenti della maggioranza, dovrebbe essere mantenuto il taglio del 2% già effettuato dal governo Draghi, con l'aggiunta di un ulteriore 1% (quindi in totale un taglio del 3%) per i lavoratori con redditi bassi, probabilmente al di sotto dei 20mila euro lordi all'anno.
Il cuneo fiscale, in termini semplici, è la differenza tra quanto deve pagare un datore di lavoro per un suo lavoratore, e quanto poi questo lavoratore si ritrova in busta paga. È un modo per misurare quanto pesano le tasse sul lavoro, che includono i contributi a carico del dipendente, quelli a carico dell'azienda e le imposte sul reddito.
In Italia oggi il cuneo fiscale è tra i più alti a livello internazionale: secondo i dati Ocse, ha raggiunto il 46,5% (contro una media nei Paesi Ocse del 34,6%). Ciò significa che, per ogni 100 euro lordi che il datore di lavoro paga, al lavoratore ne rimangono 53,50, e il resto va in tasse.
Con il decreto Aiuti bis di agosto 2022, il governo Draghi aveva tagliato il cuneo fiscale del 2%. La spesa che il governo Meloni dovrà fare per mantenere questo taglio è di circa 3,5-4 miliardi, secondo le stime. In più, se ne potrebbero aggiungere 1,5-2 per portare il taglio al 3% nel caso dei lavoratori con un reddito più basso di 20mila euro. Dei circa 30 miliardi di euro che la manovra dovrebbe usare, quindi, più o meno 5 dovrebbero essere dedicati a questa misura.
Il taglio potrebbe riguardare per due terzi i lavoratori e per un terzo le aziende, ha annunciato la settimana scorsa il ministro delle Imprese Adolfo Urso. Oggi, alcune agenzie stampa hanno parlato di un taglio tutto a beneficio dei lavoratori, citando fonti di governo. Questo è uno dei punti centrali: per chi si riduce il cuneo fiscale.
Un taglio, infatti, può essere riferito ai dipendenti (per cui l'azienda continua a pagare la stessa cifra, ma al lavoratore arrivano più soldi) o alle imprese (per cui il dipendente riceve lo stesso stipendio, ma l'impresa deve spendere meno per darglielo), oppure avere delle vie di mezzo. Il taglio del 2% effettuato dal governo Draghi era interamente rivolto ai lavoratori. I sindacati hanno chiesto che lo stesso avvenga con la riduzione del cuneo fiscale in questa manovra.
Le parole di Urso della settimana scorsa sembravano contrastare questa ipotesi, con l'inaugurazione della proporzione di due terzi/un terzo. Questa divisione è stata richiesta anche da Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, che nelle ultime settimane ha insistito sulla necessità di un taglio forte per il cuneo fiscale. Per avere la certezza sulla suddivisione del taglio bisognerà aspettare il testo della manovra.
Ricevendo solo due terzi delle risorse per il cuneo fiscale, i dipendenti con un reddito tra i 20mila e i 35mila euro – che manterrebbero un taglio del 2% – vedrebbero probabilmente una riduzione della loro busta paga, perché ora quel 2% sarebbe da condividere con i loro datori di lavoro. Ad esempio, se il costo del taglio fosse di circa 3,5 miliardi di euro come per il governo Draghi, invece di essere 3,5 miliardi tutti per gli stipendi dei dipendenti sarebbero 2,3 miliardi per i lavoratori e 1,2 miliardi per le aziende, che vedrebbero ridotti in parte i contributi che devono pagare.
Nel suo discorso per la fiducia alle Camere, Giorgia Meloni aveva annunciato un intervento per "arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori", e la manovra sarebbe considerata il primo passo in questa direzione. Anche Urso ha confermato anche che l'obiettivo del governo è "ridurre di cinque punti il cuneo fiscale", ma che questo "è un obiettivo di legislatura, lo dobbiamo fare gradualmente, anche perché deve essere compatibile con le risorse che abbiamo".