La foto a sinistra risale al gennaio 2007 e rappresenta l'esclusione, quando Hasnain Syed, arrivato a Roma, non aveva trovato alcun tipo di accoglienza se non le tende allestite nei pressi della stazione Ostiense dall'organizzazione umanitaria Medici per i Diritti Umani. Assieme a lui, altre centinaia di rifugiati afgani fuggiti dalla guerra e da ogni tipo di violenza. L’immagina a destra, invece, rappresenta l'inclusione. È stata scattata ieri all'Università La Sapienza di Roma dove Syed si è laureato in Scienze politiche con una tesi sulla partecipazione dei rifugiati nei processi decisionali.
“Faccio ancora fatica a crederci – dice emozionato ai microfoni del Tg3 – dopo tutto quello che ho vissuto in questi anni”. Una storia di integrazione, di inclusione, come lui stesso ha scritto sul suo profilo social. Syed, oggi 30enne, è fuggito dall'Afghanistan quando di anni ne aveva solo 10, grazie all'aiuto della madre. Dopo un lungo viaggio attraverso Pakistan, Iran, Turchia e Grecia, è arrivato in Italia nascosto sotto un Tir. “Mio padre era un talebano – ricorda – e i miei fratellastri mi volevano obbligare ad andare a combattere. Mia mamma, senza dirmi nulla, mi ha affidato al trafficante che mi ha portato in Pakistan”. È l’inizio di un’odissea che durerà 8 anni, in cui è costretto a lavorare come agricoltore o operaio in fabbrica per poter risparmiare il denaro necessario a pagare altri trafficanti. A Benevento l’incontro con un pizzaiolo che gli cambierà la vita. “Si è fidato di me – continua – ed è stato proprio il suo aiuto a farmi decidere di richiedere l’asilo in Italia”. Nel giorno della sua laurea, Syed ha proprio un ricordo per chi, tanti anni fa, gli ha dato una mano e lo ha accolto. “Vorrei chiedere a questa persona, nel caso mi riconoscesse, di farsi sentire, di chiamarmi”. Il primo pensiero, tuttavia, va alla mamma, che vive ancora in Afghanistan. “Dedico a lei questo giorno. Io sono il risultato del suo atto d’amore”.
Anche l'Ong Medici per i Diritti Umani ha voluto congratularsi con lui. “Proviamo una gioia intima nel sapere che tanti amici afgani, che ospitammo in quelle tende, hanno trovato oggi un loro posto nella società italiana”. “Sono stati capaci di amare il nostro paese più di quanto il nostro paese sia stato capace di respingerli”. Allo stesso tempo, l’organizzazione umanitaria, che ha assistito Syed e gli altri afghani al loro arrivo a Roma, usa parole critiche nei confronti delle politiche dell’accoglienza in Italia e in Europa. “Non possiamo non pensare con amarezza ai tanti che non ci sono riusciti, o che non sono stati altrettanto fortunati, e che l'Italia l'hanno dovuta lasciare. Quanto poi alla questione della civiltà dell'accoglienza, ci chiediamo se in questi dodici anni l'Italia e l'Europa siano andate avanti oppure abbiano percorso un funesto percorso a ritroso”. Per Syed quello di ieri è stato un giorno felice. Per questo ha voluto ringraziare, oltre alla sua famiglia, quanti hanno reso possibile la sua integrazione nel nostro Paese. “Grazie alla mia famiglia, grazie all'Italia e grazie anche a tutte le persone che in questi anni mi hanno sostenuto – conclude – e mi hanno fatto sentire incluso nella società italiana!”