Svolta nel caso di Liliana Resinovich: per i consulenti della Procura si è suicidata
Svolta nel caso relativo alla morte di Liliana Resinovich, la donna scomparsa da casa il 14 dicembre scorso e poi trovata morta all’inizio di gennaio nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico del rione San Giovanni.
Secondo i consulenti della Procura la donna si sarebbe suicidata e il decesso si sarebbe verificato almeno due o tre giorni prima il ritrovamento del corpo.
Nessuno, dunque, ha ucciso Liliana. Nel corso degli ultimi mesi i sospetti degli inquirenti si erano concentrati su due persone: il marito della donna Sebastiano Visintin e l'amico Claudio Sterpin. Ma le indagini sono sempre andate avanti senza indagati dal momento che mancavano evidenze contro l'uno e contro l'altro.
Perché per i consulenti della Procura Liliana si è suicidata
Il caso, dunque, sembrerebbe chiuso, dopo la bozza della relazione firmata dal professore di Medicina legale Fulvio Costantinides e dal medico radiologo Fabio Cavalli e inviata ai consulenti di parte per le loro osservazioni.
Nella bozza della relazione di circa 50 pagine gli esperti, incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia, hanno messo nero su bianco i risultati dell'autopsia e degli esami tossicologici (viene esclusa l'assunzione di droga o farmaci) e le deduzioni che lasciano propendere per un gesto che non abbia coinvolto altre persone.
I sacchi integri che contenevano il corpo della vittima sono "poco compatibili" con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo "in ambiente impervio", evidenza a cui va aggiunta l'assenza di "qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui", la mancanza "di lesioni attribuibili a difesa" e di altre ferite che avrebbero potuto impedirle di reagire a un'aggressione.
Il fatto che i sacchetti non sono stati trovati stretti al collo "non esclude", a parere dei consulenti, "una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l'inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci essendo sufficiente per il soffocamento l'accumulo progressivo di anidride carbonica espirata ed il rapido consumo dell'ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto".
Verso l'archiviazione del caso?
In sostanza, "non emerge" a parere dei consulenti tecnici, "alcunché che concretamente supporti l'intervento di mano altrui nel determinismo del decesso" di Liliana Resinovich, la quale si era allontanata da casa senza cellulari e fede nuziale.
Le conclusioni, a sette mesi dal giallo della morte, – anche se resta da capire cosa è successo dal giorno della scomparsa a quello del decesso – sembrano risolutive: il decesso di Liliana Resinovich può farsi risalire "ragionevolmente a circa 2-3 giorni prima" del ritrovamento del corpo che "non presenta evidenti lesioni traumatiche possibili causa o concausa di morte, con assenza di solchi o emorragie al collo, con assenza di lesioni da difesa, con vesti del tutto integre e normoindossate, senza chiara evidenza di azione di terzi".
L'autopsia suggerisce "una morte asfittica tipo spazio confinato, senza importanti legature o emorragie presenti al collo" scrivono i consulenti. Parole che potrebbero indurre la procura di Trieste, una volta terminati tutti gli accertamenti, ad archiviare il caso.
Il caso Resinovich e i dubbi su omicidio e suicidio
A rifiutare l'idea che Liliana si fosse suicidata è sempre stato il fratello Sergio: a lui non risultava che la donna vivesse un momento di sconforto tale da giustificare un gesto estremo compiuto poi in quel modo.
Si ricordi che il corpo di Liliana Resinovich venne trovato avvolto in due sacchi neri della spazzatura e con due buste di plastica intorno alla testa strette con un cordino. Non sono stati evidenziati però segni di violenza e anche l’autopsia, che ha parlato di scompenso cardiaco acuto, non aveva chiarito l’esatta dinamica della morte.
Ancora, sui sacchi e sulla bottiglia trovati accanto al corpo non è stato trovato dna maschile riconducibile agli uomini più vicini alla vittima, dal marito Sebastiano Visintin all’amico Claudio Sterpin, ed è stato escluso che Liliana potesse aver preso sostanze. Gli esami, al contrario, hanno riscontrato solo la presenza di un multivitaminico che la donna aveva preso la mattina della scomparsa.