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Rosita, suicida a 16 anni, inizia il processo ai genitori: “La sfidarono a uccidersi”

Nel 2014 Rosita, studentessa modello di 16 anni, si gettò dal tetto della sua scuola a Forlì. Prima di farlo realizzò un lungo video in cui manifestava il suo disagio e accusava i genitori di averle reso la vita impossibile.
A cura di S. P.
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È iniziato a Forlì il processo nei confronti dei genitori di Rosita, la studentessa modello di sedici anni che il 17 giugno del 2014 si è suicidata lanciandosi dal tetto-terrazzo del liceo classico Morgagni che frequentava. I coniugi Rosita Cenni e Roberto Raffoni, finiti sotto indagine poco dopo la morte della ragazza, devono entrambi rispondere di maltrattamenti e, solo l'uomo, anche di istigazione al suicidio. La figlia, prima di morire, aveva realizzato un lungo video trovato sul suo cellulare in cui accusava i genitori, ritenuti da lei responsabili di averla spinta a farla finita per ripetuti “maltrattamenti psicologici”. Aveva inoltre scritto una lettera per ribadire il suo disagio. “Chiedo perdono a tutti. Il mio disagio interiore è insopportabile. Mia mamma e mio padre mi hanno reso la vita impossibile. Spero che ci sia giustizia per questa mia morte. Spero che i carabinieri facciano un’indagine”, aveva scritto prima di gettarsi nel vuoto.

Inizia il processo ai genitori – Nell'udienza davanti alla corte d'assise del tribunale di Forlì il difensore della coppia (nessuno dei due era in aula), l’avvocato Marco Martines, ha chiesto il processo a porte chiuse. La richiesta è stata respinta. Inoltre la difesa ha avanzato richiesta, già respinta dal Gip in fase preliminare, di rito abbreviato. Richiesta contestata dal pm Filippo Santangelo. La corte ha rinviato la decisione, dovendo esaminare le documentazioni, alla prossima udienza, che è in programma il prossimo 14 dicembre.

La ragazza costretta a subire continue umiliazioni – Secondo l'ipotesi del procuratore Sergio Sottani e del pm Filippo Santangelo i due imputati costrinsero la figlia adolescente “a una vita di deprivazione affettiva e di continue umiliazioni, svalutandola come essere umano e discendente fin dalla nascita, privandola della possibilità di avere una vita adeguata alla sua età evolutiva, isolandola dall'ambiente esterno e dal contesto sociale”. Anche quando lei avrebbe minacciato di togliersi la vita, la madre e il padre alimentarono “il proposito suicidiario incitandola e sfidandola” a compiere il gesto e infine dicendole che così avrebbe risolto i suoi problemi e i loro. E poi ancora la coppia, secondo l’accusa, avrebbe ricordato continuamente alla ragazza che “lei era la figlia non voluta, che aveva rovinato la serenità famigliare, che se non fosse nata sarebbe stata una famiglia perfetta”.

Non le facevano neppure usare internet – Secondo i magistrati la sedicenne suicida era costretta a vivere “di studio e in totale solitudine”. In tre anni sarebbe uscita non più di tre volte con gli amici mentre i genitori le avrebbero impedito anche di usare internet. Non le avrebbero neppure dato il permesso, a iscrizione avvenuta e retta già pagata, di partire per un viaggio studio in Cina. E infine anche dopo la morte i genitori avrebbero proseguito nel disinteresse e dissociazione affettiva e familiare “lasciandola nuda e senza vestiti in cella frigorifera per giorni, impedendo ad amici e parenti di visitarla presso la camera mortuaria”.

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