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La strage di Erba di Olindo e Rosa

Strage Erba, perché i giudici hanno detto no al processo di revisione a Olindo e Rosa: “Nessuna nuova prova”

Sono state depositate oggi le motivazioni con le quali i giudici della Corte d’Appello di Brescia hanno giudicato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza all’ergastolo per Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati per la strage di Erba del 2006: “Nessuna prova e nessun complotto”.
A cura di Ida Artiaco
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Nessuna nuova prova e nessun complotto contro Olindo Romano e la moglie Rosa Bazzi. Per questo, in sintesi, i giudici di Brescia hanno giudicato inammissibile l'istanza di revisione della sentenza all'ergastolo per i due coniugi condannati per la strage di Erba del 2006, in cui persero la vita Raffaella Castagna, la madre Paola Galli, il figlio Youssef di due anni e la vicina di casa Valeria Cherubini.

È quanto si legge nelle motivazioni, depositate oggi, alla sentenza con la quale il 10 luglio scorso hanno respinto le istanze di revisione presentate dai legali della coppia e dall'allora pg di Milano Cuno Tarfusser. "L'istanza – hanno scritto – è manifestamente inammissibile, esaurendosi nella ripetizione, alla luce delle nuove acquisizioni (che, come si è visto, tali non sono) e nella prospettiva della falsità della prova, di doglianze già sviluppate nei precedenti gradi di giudizio e in sede d’incidente di esecuzione".

Per i giudici della Corte d'Appello di Brescia "l'ipotetico movente legato a un regolamento di conti nell'ambito del traffico di sostanze stupefacenti é stato invano approfondito nella prima fase delle indagini e non ha trovato alcun riscontro" da parte della Guardia di Finanza e "non può certo trovare nuova linfa nelle apodittiche affermazioni di Abdi Kais (un tunisino che era stato in carcere con Azouz Marzouz, ndr) e nelle supposizioni degli altri pregiudicati intervistati mentre era in corso l'odierno processo di revisione".

Riguardo al fatto che parte del materiale presentato in aula era giornalistico, i giudici scrivono che "poiché una parte delle prove sono rappresentate da interviste, la natura di documenti di tali interviste non vale a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale. Diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l'obbligo di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario – quindi – è sicuramente condizionale dalla pubblicità che il mezzo garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore. Nessun presidio, al di là della deontologia dell'intervistatore, è previsto a tutela della genuinità e libertà delle risposte e della correttezza delle domande che possono essere suggestive, insinuanti e insidiose".

Non ci fu neppure una sorta di "complotto" ai danni di Rosa e Olindo come, secondo questa lettura, emergerebbe dalle richieste di revisione. "La falsità delle prove (rectius: del loro iter formativo), così come i presunti fatti-reato che avrebbero inquinato il processo, non discenderebbe da nuove prove di segno opposto a quelle considerate in sede di cognizione ma da una sorta di complotto ai danni di Romano e della Bazzi, che avrebbe condotto gli inquirenti a costruire a tavolino la traccia ematica rinvenuta sul battitacco della Seat Arosa e a insufflare in modo surrettizio (occultando di averlo sentito, cancellando le relative intercettazioni e falsificando i verbali dei colloqui registrati) Mario Frigerio, per poi costringere gli odierni ricorrenti a confessare, anche in questo caso sopprimendo conversazioni oggetto d'intercettazione che avrebbero potuto dimostrarne l'innocenza".

Per quanto riguarda le presunte pressioni per far confessare Olindo e Rosa per i giudici "si propone una diversa valutazione della genuinità delle dichiarazioni confessorie degli imputati, già approfondita, come anche la personalità degli stessi e la denunciata opera di suggestioni degli inquirenti… Plurimi motivi di doglianza in merito al carattere coartato delle confessioni, mai lamentato dagli imputati prima dell'udienza preliminari ed anzi escluso dal tenore delle annotazioni a margine della Bibbia da Romano e dalla lettera spedita a padre Bassano dagli imputati".

Hanno concluso poi i giudici: "La richiesta di revisione è stata formulata da un sostituto procuratore generale della Corte d'appello di Milano privo di delega relativamente alla materia delle revisioni, riservata, secondo il documento organizzativo dell'ufficio, all'avvocato generale, e non assegnatario del fascicolo ed è stata depositata nella cancelleria del Procuratore Generale di Milano, che l'ha trasmessa alla Corte, evidenziando la carenza di legittimazione del proponente, disconoscendone il contenuto e chiedendo che fosse dichiarata inammissibile".

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