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Strage di Via d’Amelio, 4 poliziotti a processo per depistaggio. Il pm: “Troppi ‘Non ricordo'”

A processo i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, tutti accusati del reato di depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
A cura di Davide Falcioni
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Il gup del tribunale di Caltanissetta David Salvucci ha rinviato a giudizio i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, tutti accusati del reato di depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta (Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina).

Secondo l'accusa i quattro imputati avrebbero mentito deponendo come testimoni nel processo sulla strage di mafia concluso in appello con la prescrizione del reato di calunnia per tre loro colleghi: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. La prima udienza del processo è fissata per il 17 dicembre. I poliziotti, secondo il pm Maurizio Bonaccorso, avrebbero mentito su alcuni punti e sarebbero stati reticenti su altri ostacolando l'accertamento della verità giudiziaria.

Non a caso nel corso della sua discussione il pubblico ministero ha parlato di "assoluta malafede" dei quattro poliziotti. Vengono contestati agli imputati anche i "troppi non ricordo" nel corso delle loro deposizioni: Di Gangi, Maniscaldi, Tedesco e Zerilli facevano parte del gruppo di indagine "Falcone-Borsellino" creato all'interno della Squadra Mobile di Palermo per fare luce sulle stragi mafiose del '92.

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Le legale dei poliziotti: "I ‘non ricordo?' Sono passati 30 anni"

Quei "non ricordo", tuttavia, secondo l'avvocato Maria Giambra, legale dei poliziotti Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, sarebbero da attribuire solo al lungo tempo trascorso: "Sono proprio la struttura stessa del capo di imputazione e il contenuto delle condotte addebitate – ha aggiunto la legale – che danno la misura della infondatezza in diritto dell'ipotesi accusatoria. Agli imputati si contesta di avere reso false dichiarazioni o omissioni nel corso del processo a Mario Bo e altri due imputati, ma in riferimento alle indagini sulla strage di via D'Amelio. Ma il depistaggio è un fatto avvenuto, consumato e già vagliato processualmente in altri procedimenti come il Borsellino quater. Come avrebbero potuto depistare quelle indagini se già il depistaggio è stato scoperto? Al massimo si sarebbe potuto valutare se le condotte avessero potuto integrare il reato di falsa testimonianza, che comunque a mio giudizio non c'è stato in quanto le dichiarazioni rese dai miei assistiti non avevano alcun contenuto di falsità e i ‘non ricordo' non erano reticenze finalizzate a omettere il vero ma il frutto di un lasso di tempo di quasi trent'anni".

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