Strage di Erba, per Rosa Bazzi e Olindo Romano non ci sarà un nuovo processo: confermato l’ergastolo
È inammissibile la richiesta di revisione del processo per Rosa Bazzi e Olindo Romano. Così ha deciso la Corte d'Appello di Brescia, dove oggi, mercoledì 11 luglio si è tenuta l'udienza decisiva nel processo di revisione per la Strage di Erba.
Non ci sarà dunque nessun processo di revisione per la coppia, già condannata all'ergastolo.
Perché è stata chiesta la revisione del processo per Rosa e Olindo
Il 9 gennaio 2024 la Corte d'Appello di Brescia aveva ritenuto ammissibile la richiesta di revisione del processo per la Strage di Erba, presentata dalle difese di Olindo Romano e Rosa Bazzi congiuntamente a quella del Sostituto Procuratore Generale di Milano Cuno Tarfusser.
La prima udienza del processo per la revisione si era tenuta il 1° marzo, mentre il 16 aprile la seconda. Dopo le dichiarazioni dell'accusa e il rinvio disposto dal giudice nella passata udienza, gli avvocati della coppia hanno presentato in aula i nuovi elementi che ritenevano utili per la riapertura del caso.
Secondo la difesa, molte consulenze prodotte mettevano in discussione l'impianto accusatorio, sulla base di nuove valutazioni che si fondavano su conoscenze scientifiche, tecnologiche e metodologiche sviluppate dopo la precedente condanna e quindi più aggiornate e attendibili rispetto a quelle utilizzate in sede di indagine. Messe al vaglio anche nuove testimonianze e l’analisi di elementi già in essere ma non considerati e valutati in precedenza.
Quando è avvenuta la strage di Erba
Il caso della Strage di Erba iniziò la sera dell'11 dicembre 2006, quando i Vigili del fuoco, intorno alle 20.20, vennero chiamati per un incendio in una corte, in via Diaz, al numero 25, del piccolo comune comasco. Durante quello che sembrava un normale intervento, i Vdf si trovarono davanti un massacro.
Con le fiamme qualcuno aveva cercato di nascondere l'omicidio di Raffaella Castagna, 30 anni, di suo figlio di 2, Youssef Marzouk, della madre, Paola Galli, 60, e della vicina di casa Valeria Cherubini, 55. Sul pianerottolo del primo piano i Vigili trovarono Mario Frigerio, vicino di casa e marito di Cherubini, con la gola tagliata e in fin di vita.
Il bilancio definitivo fu di quattro morti e un ferito gravissimo, Frigerio, salvatosi soltanto grazie a un'anomalia congenita del decorso della carotide. Le vittime furono colpite e uccise a sprangate e con numerose coltellate.
Dopo il ritrovamento dei corpi, Azouz Marzouk compagno di Raffaella e padre del piccolo Youssef, fu il primo a finire sotto la lente d'ingrandimento degli investigatori. L'uomo aveva dei piccoli precedenti penali per droga, ma il giorno della Strage era in Tunisia a trovare i genitori.
Così, dopo aver allargato il raggio d'interesse, gli investigatori si concentrarono sulla coppia di vicini di casa, Olindo Romano e Rosa Bazzi. Già in passato avevano avuto dei problemi con Raffaella Castagna. I due non sembrarono colpiti da quanto accaduto poco lontano dalla loro abitazione, mostrarono ai carabinieri uno scontrino del McDonald's di Como battuto la sera del quadruplice omicidio.
I militari però notarono un grande ematoma e molte escoriazioni alle mani su Romano, mentre Rosa aveva un cerotto al dito con tracce di sangue recenti. Il 26 dicembre i carabinieri, esaminando l'auto di Romano, trovarono una traccia di sangue di Valeria Cherubini.
Il 9 gennaio del 2007 i due coniugi vennero arrestati dopo un lungo interrogatorio. Frigerio, che risvegliatosi dal coma, indicò Romano come colui che lo aveva colpito. Il 10 gennaio arrivò la svolta: Romano e Bazzi confessarono. Ma poco dopo, il 10 ottobre, entrambi ritrattarono.
Il pubblico ministero di Como, Massimo Astori, li lesse come tentativi di cambiare la strategia difensiva e il 12 ottobre i due vennero rinviati a giudizio.
Il processo nei loro confronti si aprì a gennaio 2008 e in aula Frigerio testimoniò contro la coppia. Il 26 novembre arrivò la condanna: per entrambi ergastolo con tre anni di isolamento diurno, verdetto poi confermato anche in appello il 20 aprile 2010 e in definitiva dalla Cassazione il 3 maggio 2011.