Strage di Cascina Spiotta, l’ex BR Azzolini: “C’ero, morirono due persone che non avrebbero dovuto”

A cinquant'anni dai tragici eventi di Cascina Spiotta – dove nel giugno del 1975 le Brigare Rosse tenevano rinchiuso l'industriale Vittorio Vallarino Gancia, precedentemente sequestrato – l'ex BR Lauro Azzolini ha reso ieri dichiarazioni spontanee davanti alla Corte d'Assise di Alessandria nel processo per l'omicidio dell'appuntato dei carabinieri Giovanni D'Alfonso. Accusato assieme agli ex capi storici delle Brigate Rosse, Mario Moretti e Renato Curcio, Azzolini ha ripercorso gli istanti drammatici di quel 5 giugno 1975, in un racconto che ha rievocato un passato segnato dalla lotta armata e dalla violenza politica.
Il racconto del blitz e il dramma della fuga
"C'ero quel giorno, c'ero in quel minuto breve in cui tutto precipitò", ha esordito Azzolini, visibilmente commosso. "Un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere. Due persone sono morte quel giorno, due persone che non avrebbero dovuto morire: Giovanni D'Alfonso e Mara Cagol".
L'ex brigatista ha descritto il momento in cui le forze dell'ordine fecero irruzione nella cascina per liberare l'imprenditore Vittorio Vallarino Gancia. "Sentimmo i colpi d'arma da fuoco, rispondemmo nel caos di una frazione di secondo. Cercammo di fuggire, ma la strada era sbarrata dall'auto dei carabinieri".
Azzolini ha raccontato anche gli ultimi momenti di Mara Cagol, sua compagna di lotta: "La vidi sanguinare da un braccio, le chiesi se fosse ferita. Mi rispose che non era nulla e che, se ci fosse stata l'occasione, avremmo dovuto tentare ancora la fuga". Poi, l'ultimo sguardo verso la donna: "Era sul prato, con le braccia alzate, disarmata, gridava di non sparare". Azzolini ha continuato la fuga nei boschi, solo, mentre alle sue spalle riecheggiavano due colpi di arma da fuoco.

L'assunzione di responsabilità
Per la prima volta, l'ex brigatista ha ricostruito nei dettagli il contesto in cui si consumò la tragedia. Pur senza ammettere esplicitamente di aver sparato contro D'Alfonso, ha riconosciuto che furono lanciate due bombe "senza mira", in un contesto di "grande confusione". Ha poi aggiunto parole che suonano come un'ammissione di responsabilità: "Capisco che oggi questo possa sembrare paradossale, ma allora per la mia coscienza di classe significò assumermi la responsabilità della scelta".
Nel suo intervento, Azzolini ha allargato lo sguardo al clima di quegli anni: "Erano tempi diversi, segnati da un duro conflitto sociale. Pensavamo di poter fare la rivoluzione. Oggi tutto è cambiato, eppure nel mondo assistiamo ancora a violenze, povertà e guerre terribili".
Dalla fabbrica alla clandestinità: la parabola di Azzolini
L'ex brigatista ha ricordato il suo arrivo a Torino come operaio e il successivo passaggio alla clandestinità dopo l'arresto di alcuni compagni. "Quando si decise di sequestrare un ricco imprenditore per autofinanziamento, vi partecipai. Doveva durare pochi giorni, senza conseguenze per nessuno. Ma poi tutto precipitò".
Infine, il ricordo della concitazione all'arrivo dei carabinieri: "Sentimmo colpi forti alla porta, ci prese il panico. Non sapevamo cosa fare, non eravamo preparati a una situazione del genere. Decidemmo di fuggire, abbandonando l'ostaggio". Le bombe furono lanciate "senza mira", con l'unico scopo di disorientare gli agenti e guadagnare tempo per la fuga.
Il bilancio di quella giornata fu tragico: l'appuntato Giovanni D'Alfonso e Mara Cagol persero la vita. Cinquant'anni dopo, la storia torna in aula, con la testimonianza di chi, quel giorno, c'era.