L'indiscrezione circolava da tempo. Già a maggio qualcuno sussurrava di risultati sorprendenti dal lavoro che il professor Nicola resta, docente di genetica medica dell’università di Bari, da tempo sta portando avanti sui reperti della strage di Capaci che il 23 maggio del 1992 uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Ai tempi dell'attentato le tecniche investigative non permettevano la ricostruzione del dna sui reperti ma oggi, grazie anche all'ottimo stato di conservazione, le tracce genetiche di un uomo e una donna, mai prese in considerazione durante l'inchiesta, sono emerse con forza.
Si tratta di un paio di guanti di lattice, una torcia e un tubetto di mastice che furono rinvenuti a 63 metri dall'enorme cratere provocato dall'esplosione e che, secondo gli inquirenti, potrebbero appartenere a qualcuno che ha curato la preparazione del cosiddetto "attentatuni" che ha cambiato per sempre la storia della mafia (e dell'antimafia) nel nostro Paese. Secondo la consulenza redatta dai periti "i risultati mostrano chiaramente un profilo misto derivante da almeno tre individui diversi dove però la componente attribuibile ad uno o più soggetti di sesso femminile risulta essere maggiormente rappresentata".
La consulenza è stata inserita agli atti del processo bis per la strage di Capaci, riaperto dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Patuzza. Il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, che conduce le indagini con gli aggiunti Lia Sava, Gabriele Paci e con il pm Stefano Luciani, ha disposto ulteriori accertamenti e si è dichiarato convinto che "gli impegni in calendario saranno fittissimi" per cercare di ristabilire la verità. La presenza di una donna, del resto, avvalora l'ipotesi che non furono solo mani mafiose a preparare l'attentato contro Falcone ma che altri (forse emanazioni deviate dei servizi segreti) hanno collaborato per un attentato che, sono in molti a crederlo, richiedeva competenze che Cosa Nostra non era in grado di sostenere.
Gli accertamenti scientifici hanno già accertato che il materiale trovato non appartiene né a Giovanni Aiello (il cosiddetto "faccia da mostro" indicato da alcuni pentiti come uomo di raccordo tra Servizi e Cosa Nostra), che è deceduto lo scorso agosto, e nemmeno a una sua amica (tale Virginia) indicata come sua collaboratrice e amica. Di nuovo però c'è la dichiarazione del collaboratore di giustizia calabrese Nino Lo Giudice che ha parlato di "una tale Antonella, tutti e due (lei e l'Aiello nda) facevano parte a servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi”. E questa è una delle piste su cui si sta lavorando.