Strage di Capaci, il boss pentito rivela: “La mafia non ha agito da sola”

Nei momenti prima della strage di Capaci, con noi "c'era un uomo sui 45 anni che non era dei nostri… Arrivò con Nino Troia, il proprietario del mobilificio di Capaci dove fu ucciso Emanuele Piazza, giovane collaboratore del Sisde che voleva fare l'infiltrato". A parlare è Gioacchino La Barbera, oggi boss pentito, ma quel pomeriggio del 23 maggio 1992 uomo che diede il segnale per far esplodere il ponte al passaggio delle auto su cui viaggiavano Giovanni Falcone e la sua scorta. Il collaboratore di giustizia, condannato a 14 anni di reclusione per aver preso parte a uno degli attentati più sanguinosi dal dopoguerra, è stato intervistato per Repubblica. Ammette che fu lui a dare materialmente il segnale per il via all'attentato. "Fui io a dare il segnale agli altri appostati sulla collina. Ero in contatto telefonico con Nino Gioè. Sapevamo che il giudice sarebbe arrivato di venerdì o sabato… Era tutto pronto, e il cunicolo già imbottito di esplosivo. Ce lo avevo messo io, due settimane prima", ricorda.
La Barbera parla anche di riunioni "con generali e di incontri tra Riina ed ex ministri democristiani", confermando quanto già affermato da boss Francesco di Carlo, che aveva parlato anche di P2. ”I nomi di quelle persone sono stati fatti, come quelli dei giudici che aggiustavano i processi… “ dice. Se per l’omicidio Lima c’è stata una collaborazione dei servizi segreti? “Ci fu. C’erano uomini dei servizi sul Monte Pellegrino”. E l’omicidio Mattarella? “Per quel che ne so io, fu voluto da politici” afferma il pentito. L'ex boss parla anche delmorte di Nino Gioè: "Non so se si è suicidato. Sapevo che avevano fatto dei verbali con lui. Gioè stava collaborando, ne sono certo".
L’uomo della Strage di Capaci torna anche su Vincenzo Scarantino, condannato per la strage di Via D'Amelio: “All’inizio della mia collaborazione mi fu proposto di fare un confronto audio visivo con lo stesso Scarantino alla presenza dei carabinieri, funzionari della Dia e i magistrati di Caltanissetta”. “Durante il confronto lo sbugiardai. Di quel confronto non c’è traccia: sono spariti verbali e registrazioni”. Racconta infine come scomparvero i documenti dalla villa di Riina: “Dopo il suo arresto accompagnai, insieme a Nino Gioè, i figli e la moglie di Riina fino alla stazione”. “Poi seguii la pulizia e l’estrazione della cassaforte dalla villa”; secondo La Barbera tutto ciò che era stato trovato in cassaforte fu messo in un’auto “che ritirò Matteo Messina Denaro”.