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Strage del Rapido 904, svolta nelle indagini: chiesto il rinvio a giudizio per Totò Riina

Secondo la Procura di Firenze, il superboss mafioso “fu il mandante della strage” che costò la vita a 15 persone e provocò 267 feriti. Secondo la procura la bomba che uccise fu la stessa poi utilizzata per le altre stragi degli anni Novanta, come quella in Via D’amelio.
A cura di Biagio Chiariello
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C'è una svolta nelle indagini sulla strage del rapido 904. La procura di Firenze ha infatti chiesto il rinvio a giudizio per Totò Riina, nell'ambito del procedimento giudiziario sull'attentato del dicembre del 1984 presso la Grande galleria dell'Appennino ai danni del rapido Napoli-Milano. L'esplosione costò la vita a 15 persone e provocò 267 feriti. In seguito i deceduti salirono a 17. Secondo la tesi dei pm, Totò Riina – attualmente al 41 bis – fu "mandante, determinatore e istigatore della strage da lui programmata e decisa con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici) appartenente all'organizzazione ed utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi degli anni ’90", lo si legge in un’integrazione al capo di imputazione del capo di Cosa Nostra. La strage si consumò peraltro nei pressi del punto in cui poco più di dieci anni prima sarebbe avvenuto l'attentato al treno Italicus.

Le tappe dell'inchiesta sulla strage del rapido 904 – L’inchiesta era stata iniziata a Napoli sulla base di nuove dichiarazioni di pentiti di mafia e di camorra, tra cui Giovanni Brusca. Secondo la procura partenopea la strage del Rapido 904 rientrava nella strategia stragista perseguita dai Corleonesi e rappresentò la prima "risposta" ai mandati di cattura relativi al maxi processo emessi nel settembre 1984 da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L'inchiesta è stata poi trasferita a Firenze: titolari sono il procuratore Giuseppe Quattrocchi e il magistrato della Dda Angela Pietroiusti. La procura di Firenze fu la prima a indagare sul massacro avvenuto in una galleria dell'Appennino, fra il capoluogo toscano e Bologna. Nel 1992 divennero definitive le condanne, fra gli altri, per il cassiere della mafia Pippo Calò, per il suo braccio destro Guido Cercola e per Friedrich Schaudinn, accusato di aver realizzato il dispositivo per innescare la bomba. Secondo quanto emerso nell'inchiesta napoletana, l'esplosivo aveva una combinazione simile a quello poi utilizzato in altre drammatiche stragi degli anni '90, cioè quella all'Addaura e in via D'Amelio.

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