“Sono contemporaneamente i tempi migliori e peggiori per il giornalismo”, lo ha detto Mathew Ingram (giornalista a GigaOm e prima Financial Times) al Festival Internazionale del Giornalismo che si è concluso pochi giorni fa a Perugia. I tempi migliori e peggiori: da una parte i giornali che chiudono, i licenziamenti, i precari. Dall’altra nuovi progetti editoriali su internet guadagnano terreno, sperimentano, assumono.
Eppure, la situazione è difficile e le prospettive poche per chi decide di fare questo mestiere. Come fare pratica, dove trovare lavoro? Perché uno studente dovrebbe voler fare il giornalista, oggi? “Perché penso che il mio lavoro potrebbe essere utile”, dice Ludovica Lugli, 22 anni, che ha partecipato come volontaria al Festival del Giornalismo. Lei viene dalla Scuola Holden di Torino e prima ancora si è laureata in fisica.
Ludovica non è la sola: sono 300 i giovani fra i 18 e 30 anni, provenienti da tutto il mondo, che hanno partecipato quest’anno alle selezioni – via curriculum – per diventare volontari di un evento che ha ormai raggiunto rilevanza mondiale. E che si è rivelato un successo: tra i 50 e i 60mila visitatori.
Il loro contributo non è passato inosservato: “Il Festival del Giornalismo è stato internazionale, dibattuto, divertente. Congratulazioni agli organizzatori Arianna Ciccone, Chris Potter e ai grandiosi volontari”. Con questo tweet Dan Gillmor, uno dei massimi esperti mondiali di media e nuove tecnologie, si è congedato dalla cinque giorni.
Se anche lui ringrazia i grandiosi volontari deve esserci un buon motivo. Forse queste nuove leve riusciranno a ricostruire una fiducia nel giornalismo che sembra oggi persa. Perché il loro lavoro potrà essere utile, come spera Ludovica. Fanpage ha passato cinque giorni assieme ai volontari del Festival. Queste sono le loro storie.
FORMAZIONE PROFESSIONALE. “Sono pubblicista”, dice Mario Panico, 22 anni. “Mi sono occupato di una radio locale, parlavo di Mafia, quella delle mie parti, a Taranto. Ho intervistato molte vittime”. Mario ha anche scritto sul Corriere del Giorno, che ha poi chiuso. E sono tanti i volontari che come lui hanno già avuto diverse esperienze giornalistiche.
“Per loro è un Erasmus di cinque giorni sul giornalismo”, spiega Arianna Ciccone, organizzatrice del Festival. Dove si apprende: “Sperimentano sul campo cosa significa far parte di una redazione radiofonica, di un web magazine, e imparano anche a realizzare video. Affiancati e seguiti da professionisti”, conclude.
“Il primo anno che arrivai a Perugia come volontario ero convinto di essere un bravo fotografo”, continua Mario, “Ma Alessia (la photo editor) mi ha insegnato molto. Dicendomi che le mie foto facevano schifo”, sorride. Molti dei volontari sono alla loro seconda o terza esperienza consecutiva, e con gli anni si passa a maggiori responsabilità.
Come Silvia Aurino, napoletana di 24 anni che ora studia a Siena: “Il primo anno ero alla logistica”, ricorda. “Era divertente perché avevi molto tempo. Ora edito i testi del magazine e sono incollata alla scrivania da giorni”. Silvia sta finendo la specialistica e ora scrive articoli per Comunicare il sociale.
LA GENERAZIONE DEI GIORNALI CHE CHIUDONO. A sentire le loro storie, pare proprio che ricorderemo questa generazione come quella che ha visto chiudere i giornali un attimo prima di poterci mettere piede. Come è accaduto a Marta Facchini di Tivoli, anche lei 22 anni: “Ho cominciato in un giornale locale ma è fallito”, racconta. “Poi anche il mensile di Emergency ha chiuso prima che potessi andarci a fare lo stage”.
I numeri del rapporto Lsdi la dicono lunga: 6 giornalisti attivi su 10 lavorano come autonomi (a partita Iva), e il loro reddito è 5 volte inferiore alla media annua dei contrattualizzati. Meno di un giornalista su 5 ha un contratto indeterminato. E il 14 maggio al sottosegretariato all’Editoria le trattative sull’Equo Compenso giornalistico – legge dal 3 gennaio 2013 – sono state rinviate per l’ennesima volta. “Se dopo due anni non si approvano le norme attuative la legge decade”, dice Ciro Pellegrino, del gruppo di lavoro dell’Ordine dei Giornalisti sulla Carta di Firenze.
Se le redazioni chiudono, Marta sembra aver trovato il suo posto qui al Festival: “Qui vivi l’esperienza di una redazione invisibile”. Ma ad ascoltare le parole di Gaia e Simona, viene nuovamente da preoccuparsi: “Non abbiamo mai pubblicato articoli su carta”. Gaia Martignetti e Simona Marotta hanno 24 e 23 anni, vengono da Napoli e dalla Sicilia. “Abbiamo pubblicato solo online”, aggiungono, prima di scappare ad intervistare altri giornalisti per il sito del Festival.
INTERNAZIONALE E ITALIANO. Ci sono anche i volontari stranieri, come Ade Eribake, che viene da Edimburgo. E che fino a due giorni prima era in Iran, ospite da un filmaker che sta girando un film su una rifugiata afghana che vuole fare la cantante rap. “Ecco, quella sarebbe una storia interessante da raccontare”, commenta. Ade ha provato per tre anni a farsi ammettere come volontaria e ora ci è riuscita. “Amo viaggiare, e lo faccio spesso facendomi ospitare con couch surfing”, spiega.
La storia di Epifania Lo Presti, invece, ti riporta all’Italia più autentica: “Vengo da Palazzo Adriano, il paese in Sicilia dove Tornatore ha girato Nuovo Cinema Paradiso”, dice con orgoglio. È la seconda volta che viene a Perugia come volontaria e, come l’anno scorso, lavora alla radio: “Nel 2013 avevo un po’ più di ansia, facevo le interviste importanti”.
Epifania frequenta il primo anno di laurea a Palermo e lavora a un interessante progetto di giornalismo sociale che unisce in rete 24 paesi dei Monti Sicani. “I media si interessano alle mie parti solo per i morti ammazzati – spiega – così raccontiamo chi si dà da fare per cambiare le cose”. Il loro esperimento ha avuto fortuna: “Facciamo diecimila visite al giorno”. E ora pensano a una webtv.
Simone Intelisano ha 25 anni, sciliano pure lui. Anche lui per la seconda volta al Festival, anche lui alla stazione di Radio Umbria “Ho fatto radio già nel 2013. L’anno scorso facevo solo le interviste, quest’anno mi fanno condurre”, e sembra felice. Perché il suo sogno è proprio la radio: “Ci ho fatto anche uno stage non pagato”.
POCHI SOLDI, TROPPE SPERANZE. Opportunità che fanno fatica a vedersi nonostante i curriculum. Che Italia migliore sarebbe, se questi giovani non fossero costretti alla fine che sembrava scritta per lo stesso Festival pochi mesi fa, prima di una intelligente campagna di crowdfunding: Stop at the top, fermarsi al loro meglio. “Sono un po’ sfiduciata”, dice Silvia. “Anche io sono un po’ sfiduciato”, aggiunge Mario. “Finché posso il mio sogno non lo mollo”, conclude Simone.
Sono i tempi peggiori per il giornalismo, ma anche i migliori, dice Mathew Ingram. Forse per questi ragazzi c’è ancora speranza: “Mi hanno proposto un colloquio con Google News a Londra”, dice Daniele Palumbo, che ha ottenuto questa occasione dopo aver tradotto al Festival un’intervista per Rainews con Richard Gingras (Google). Gaia, invece – quella che non ha mai pubblicato su carta – ha ricevuto i complimenti di Beppe Severgnini, che le ha scritto su twitter: “Ti aspetto a Corriere.it!”. E l’anno prossimo? Risponde Mario: “Fra noi volontari si dice così: se non ci rivediamo vuol dire che abbiamo trovato lavoro”.
Foto: Flickr journalism festival, (cc creative commons license).