Il grado di civiltà di un paese non si valuta in base allo stile di vita dei “primi” ma sui diritti degli “ultimi”.
Diritti che dovrebbero essere riconosciuta a prescindere dal cognome, dal lavoro, dall'etnia. Diritti calpestati perché si è drogati, prostitute, immigrati.
Diritti calpestati a Lampedusa. Diritti calpestati a Poggioreale (come nel caso Perna, morto in carcere nonostante la sua malattia lo rendesse “incompatibile con la carcerazione”). Diritti calpestati ogni qual volta un poliziotto picchia un detenuto o minaccia una prostituta.
Diritti calpestati dai professionisti “dell’ordine”. Dalle persone che dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini e che, invece, spesso, sfogano sull’altro le proprie frustrazioni.
E così calpestiamo i diritti di Cucchi, di Aldovrandi, di Perna e garantiamo quelli di chi ha un amico ministro.
Calpestiamo i diritti di tutti quelli uccisi non dalla morte “ma da due guardie bigotte”. Guardie bigotte che si arrogano il diritto di piegare la legge ma anche la morale di una nazione. Di piegarla faccendoni credere che “era un tossico, un poco di buono”; come se aggettivare l’esistenza di un ragazzo lo rendesse cittadino di serie b. Come se definirlo un tossico consentisse di trattarlo come meno di un essere umano.
E allora giù di manganello per chi non trattiene le proprie urla di astinenza. Giù di manganello per chi non abbassa lo sguardo. Giù di manganello per chi osa denunciare.
In quelle celle muore la speranza di uno stato di diritto. Ma muore anche la possibilità che le carceri diventino strutture di riabilitazione.
Muore la speranza di uno stato migliore. Muore il principio di eguaglianza dei cittadini. Muore l’ieadel che uno Stato debba occuparsi degli ultimi e non solo dei primi.