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“Sono una ragazza di 17 anni e ho bisogno di andare a scuola: non voglio arrendermi al Covid”

Ci scrive Giusy, una ragazza che l’anno prossimo dovrà sostenere l’esame di Maturità: è a casa come molti altri studenti obbligati alla didattica a distanza. “La scuola non si fa davanti ad un computer; i bambini hanno bisogno di stare in classe, di socializzare di conoscere ed imparare… e noi? Noi non abbiamo il diritto di goderci gli ultimi anni di superiori?”
A cura di Redazione
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Cara redazione fanpage,

scrivo a voi, nella speranza che possiate dar voce a quello che provo in questo momento, anche se so che non sono l’unica e scommetto che avete migliaia di lettere come la mia. Io però ci provo lo stesso, perché non riesco ad arrendermi a questa situazione. Sono una ragazza di 17 anni, sono un a di quelle a cui è stato tolto un po' tutto, e con tutto non intendo la movida e le feste, perché di quelle non mi importa. A me importa poter andare a scuola, sono al quarto anno di liceo, faccio tanti sacrifici e mi piace studiare, sono una di quelle che il sabato pomeriggio si anticipa i compiti perché durante la settimana ha anche altri impegni. Si, perché non vado solo a scuola, sono una di quelle che passa cinque giorni a settimana in una sala di danza, una di quelle che vive di danza, di arte; sono una di quelle che la notte sogna in punta di piedi e di giorno, ad occhi aperti, sogna il palcoscenico di un grande teatro… ma quale teatro se ora sono chiusi?

Io lo so che stiamo vivendo un periodo buio, troppo complicato, e ne stiamo pagando tutti le conseguenze: dai piccoli imprenditori ai grandi, ma a noi giovani chi ci pensa? Siete tutti bravi a dirci che siamo irresponsabili e immaturi, ma la verità è che siete stati giovani prima voi e dovreste sapere cosa si prova in quest’età che è fatta di prime volte, di scoperte, di sogni, di speranze, di delusioni, di gioie e amarezze. In quest’età in cui tutti sentiamo il bisogno di toccare con mano la vita, ma come possiamo farlo davanti ad uno schermo? La scuola non si fa davanti ad un computer; i bambini hanno bisogno di stare in classe, di socializzare di conoscere ed imparare… e noi? Noi non abbiamo il diritto di goderci gli ultimi anni di superiori? Non abbiamo il diritto di stare in classe insieme? Di ridere, piangere, litigare e fare pace, di fare amicizie che prima non avremmo mai pensato? Dicono che questi sono gli anni più belli, quelli che non si dimenticano mai; io sicuramente non li dimenticherò visto che passo le giornate davanti al computer, che arrivo alla sera stanca pur essendo stata tutta la giornata seduta, davanti ad un computer però. L’anno prossimo dovrò affrontare la maturità (sempre se tutto va bene) e in futuro come sarò vista? Come “una di quelle che si è diplomata durante il covid-19, per lei è stato tutto semplice”? Anche se non è stato per niente semplice. Anche se ci ho sempre messo tutta me stessa nello studio, anima e corpo, non era così che me li immaginavo gli ultimi anni di scuola.

Inoltre, i bar e i ristoranti non possono chiudere. Sono d’accordissimo, i miei genitori hanno una piccola impresa, so bene cosa significa non avere uno stipendio sicuro e rischiare la chiusura. Ma perché un lavoro deve valere più di un altro? Perché chi lavora nel mondo dello spettacolo deve passare in secondo piano? Deve essere meno importante di qualsiasi altro mestiere? Tutti i quelli che sono ballerini, non solo per passione ma per lavoro, cosa fanno ora? Tutti gli operai, i tecnici, gli artisti, i proprietari dei cinema e dei teatri, cosa fanno ora? Chi li aiuta? I teatri e i cinema erano davvero dei luoghi sicuri, dove venivano rispettate davvero le distanze, ora devono chiudere. Però i calciatori, anche quelli positivi, possono giocare. Il “giro d’Italia”, la “Mille Miglia” che crea un vero e proprio assembramento per strada, possono continuare. La verità è che a voi non importa niente dell’arte, della cultura, che è parte integrante della vita di molte persone, di tutti quelli che scelgono di vivere con passione.

Molti teatri (e non parlo solo dei “grandi” teatri come il Teatro San Carlo), quelli delle piccole città che non hanno avuto la forza di riaprire, perché si sono visti in difficoltà, abbandonati da tutti e soprattutto dallo stato, a loro, chi ci pensa? Alle scuole di danza, chi ci pensa? Alle palestre, chi ci pensa?

Io non credo di riuscire a sopportare di nuovo l’ansia, la paura, l’incertezza di marzo. Il “ma allora quando torniamo in sala? Quando potrò vivere di nuovo la danza?”, perché non so se lo sapete, ma da marzo a maggio, abbiamo fatto lezione nel nostro soggiorno, nella nostra cameretta, nella nostra cucina, con un computer davanti in videochiamata, via skype. E non so se lo sapete, ma era un modo per non mollare, ma non era così semplice: la connessione che andava e veniva, l’app che si bloccava, il poco spazio delle nostre case, il pavimento freddo e scivoloso, lo sconforto dopo ogni videochiamata, dopo ogni giorno che passava, dopo ogni ricordo che ci riportava alla nostra sala. Tutte le ragazze e i ragazzi che dovevano diplomarsi l’anno scorso, stanno ancora aspettando di poter vivere quel momento, quello che si aspetta dal primo momento in cui si entra nella sala di danza. Quando sono ritornata nella sala a maggio, ho provato una sensazione indescrivibile, ero finalmente lì, l’unico posto in cui mi sento a casa, in cui sono me stessa, in cui posso parlare con il corpo e non con la bocca. Stessa cosa quando il 31 agosto siamo ritornate dopo la pausa estiva…sembrava ritornare pian piano alla nostra vita e invece, il dpcm del 25/10/2020 ci ha richiuso. Noi che, prima di entrare ci igienizziamo le mani, ci togliamo le scarpe e le riponiamo in un sacchetto con i nostri vestiti, ci viene misurata la temperatura, firmiamo l’ingresso e l’uscita, danziamo ognuno in un riquadro, senza mai toccarci e avvicinarci. La mia scuola di danza è uno dei posti più sicuri, e come la mia tante altre. I direttori delle scuole hanno speso tanti soldi, più di quanto potessero permettersi, per farci riprendere in sicurezza e ora? Cosa facciamo? Cosa fanno? Riprendiamo da casa? No, noi non ci stiamo.

E lo so, che “quello che faccio è soltanto una goccia nell’oceano. Ma se non ci fosse quella goccia all’oceano mancherebbe”.

Non penso di cambiare il mondo con questa lettera, ma spero solo di arrivare a qualcuno, di aver espresso quello che sto provando in questo momento. Spero che voi possiate aiutarmi a diffondere il mio messaggio, di essere riuscita a spiegarvi l’importanza di aiutare i giovani in questo momento.

Grazie infinitamente per l’attenzione.

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