Tredici ragazze d'Europa sono morte in un incidente stradale. Otto le italiane. Due quelle che abitavano a una manciata di chilometri da casa mia.
Quando parlo nelle scuole, la prima cosa che dico è: guardate il mondo. L'Europa. Non vi fermate nel Paese dove siete nati, qualunque esso sia. Respirate altre culture, altri cibi, altri profumi. Viaggiate. Incrociate sguardi, indossate le scarpe di altri, portate almeno per un po' i loro zaini. Baciatevi, e quando lo fate fatelo come se fosse per sempre.
Queste ragazze erano le figlie migliori della nostra Europa. Una sarebbe diventata farmacista, ci avrebbe curato. Un'altra economista, ci avrebbe aiutato a uscire dalla crisi. Una sarebbe andata a fare la volontaria in Africa. Un'altra dall'Africa era arrivata in Europa.
C'era anche l'ingegnere, che avrebbe costruito ponti.
Queste ragazze hanno i profili facebook con le foto dei libri, i bicchieri, le linguacce, la frangetta, gli amici, i post scritti in italiano, inglese, tedesco, francese, romeno, austriaco, ceco, arabo e uzbeco, la lingua turca parlata in Uzbekistan e Afghanistan. Perché c'era il mondo, questa notte su quel pullman.
Quasi nessuna delle ragazze, al momento dell'incidente, era sveglia. Dormivano, come si fa di solito a quell'ora e dopo essere stati tante ore svegli a parlare e a sognare. E perciò dormivano quasi tutte, come hanno detto i sopravvissuti, continuando a sognare quello che sogno anche io per mia figlia, o per mia sorella che in Spagna c'è stata, ci ha studiato, si è divertita e parla lo spagnolo come io parlo l'italiano. Sognavano il futuro, queste ragazze.
Quello che noi dovremmo continuare a costruire anche per loro, che ci credevano e avevano respirato il profumo più antico e buono del mondo: la libertà che deriva dalla conoscenza.