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Violenza ostetrica: tutte le testimonianze

Silvia: “Mi hanno chiesto: ‘questo bambino lo vuoi o sei qui perché ti sei divertita una sera?'”

Silvia è una donna che oggi ha trentatré anni. Dieci anni fa ha partorito in un ospedale del nord Italia. “Ho deciso di raccontare la mia storia perché altre donne non debbano subire ciò che è capitato a me”.
A cura di Natascia Grbic
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"Sono stata trattata con sufficienza e in modo irrispettoso soprattutto per la mia giovane età dato che quando ho partorito avevo ventidue anni. Addirittura una dottoressa mi ha guardata dall'alto in basso e mi ha detto: ‘Ma tu questo bambino lo vuoi?'. Come a dire, lo vuoi o sei qui per caso, perché una sera hai fatto la pazzerella in giro? Una considerazione sulla mia vita personale completamente fuori luogo, non si possono permettere di fare speculazioni".

Silvia è una giovane donna che oggi ha trentatré anni. Ci ha contattati per raccontare la sua esperienza di parto avvenuta dieci anni fa, in un ospedale del nord Italia, quando ancora non si parlava di violenza ostetrica. Ciò che le è accaduto l'ha segnata in modo così forte da farle escludere di avere altri figli in futuro.

Arrivata all'ottavo mese di gravidanza, la ginecologa ha consigliato a Silvia di pianificare il parto, che secondo il suo parere professionale non poteva essere fatto naturalmente. "Sono andata in ospedale, dove sono stata visitata dal primario del reparto di ginecologia e ostetricia – racconta – E anche lui ha confermato i dubbi della mia ginecologa. Io sono molto minuta, sono alta un metro e 40 e all'epoca pesavo 40 chili a termine gravidanza, il bimbo era incastrato nelle ossa del bacino. Mi ha fissato il cesareo per il mese successivo".

Le cose però, come spesso accade, non sono andate come da manuale. "Il mio bimbo aveva altri piani, e io quella stessa settimana ho rotto le acque. Ho preparato le mie cose e sono andata in ospedale, dove sono stata messa in una stanza non del reparto, credo fosse tipo il pronto soccorso di ginecologia".

"Pensavo mi stessero facendo aspettare fino a che la sala operatoria e il chirurgo fossero pronti per operarmi, ma nessuno veniva. Ogni tanto faceva capolino qualcuno, ma senza dirmi nulla. Il problema è che passano le ore, e io comincio un travaglio attivo". Silvia ha segnalato diverse volte al personale medico presente che lei avrebbe dovuto fare un parto cesareo, come confermato anche dal primario dello stesso ospedale. "Non è servito a nulla, non mi davano retta. Mi hanno lasciato in stanza tutta la notte, con le contrazioni che diventavano sempre più ravvicinate".

La mattina Silvia viene visitata. "Mi si è avvicinata un'ostetrica con un sorriso fasullo, chiedendomi, dato che sono giovane e forte, di provare a partorire naturalmente. In quei momenti sei piena di emozioni, dolore e paura, non riesci a importi come dovresti, perché sei nelle mani del personale medico di cui ti fidi. Le ho detto di no, e lei è andata via molto seccata".

"Ho cominciato a chiedere insistentemente perché non mi stavano portando in sala operatoria dato che avevo una prenotazione. Vengo completamente ignorata fino a che non mi fanno un tracciato. L'ostetrica va via con un'espressione preoccupata, e la sento mentre dice a una collega di andare subito in sala operatoria perché non riusciva a sentire bene il battito del bambino".

Silvia viene portata d'urgenza in sala operatoria, dove le viene fatta l'anestesia e il cesareo. Quando si è svegliata in reparto stava bene, ma si è accorta di non riuscire a muovere una gamba. "Ho chiesto spiegazioni, i medici mi hanno detto che era normale perché a volte l'anestesia a volte ci mette un po' di più a scendere". Passa il tempo, e i medici a quel punto si iniziano a preoccupare. "Si è avvicinato un altro anestesista, non lo stesso del parto, e mi chiede se in famiglia avessi precedenti di Sla. Sono rimasta spiazzata, perché io ero entrata in sala operatoria con le mie gambe, e non ho casi di Sla tra i miei parenti".

Silvia viene sottoposta a diversi esami per capire quale fosse il problema. "Decidono di farmi una risonanza magnetica, e mi portano con l'ambulanza in un centro vicino. Il medico mi chiede che intervento avessi subito, e gli dico che avevo fatto il cesareo. Mi ha chiesto in che modo mi avessero chiusa, ho risposto che non lo sapevo. Il medico ha chiamato in reparto presumo, e ha cominciato a urlare con chi stava dall'altra parte del telefono. Mi avevano richiusa con delle graffette di metallo, e questa cosa non era stata comunicata all'operatore. Se il medico non mi avesse fatto quella domanda, il magnete della risonanza mi avrebbe strappato le graffette, con il rischio di farmi morire dissanguata".

Silvia è tornata in ospedale, senza sottoporsi alla risonanza. Il giorno dopo la sono andati a prendere con una sedia a rotelle e l'hanno portata in una stanzino. "Pensavo dovessero farmi un'altra visita per la mia problematica. E invece è arrivato il medico del reparto psichiatrico: c'era stata una segnalazione nei miei confronti per la quale io non mi stavo affezionando al bambino perché non andavo alla nursery come le altre mamme, che però potevano camminare. Ho fatto scrivere che non avevo nessun problema psicologico di attaccamento verso mio figlio, ma che non riuscivo a muovermi".

Silvia non riusciva nemmeno ad andare in bagno da sola data l'impossibilità di muovere la gamba. "Ci ho provato più di una volta ma sono svenuta. Mi sono venuti a recuperare e mi hanno detto che non dovevo andare da sola. La volta dopo ho suonato il campanello, ma l'infermiera del reparto mi ha inveito contro dicendo che non aveva tempo di stare alle mie richieste, che lei era entrata in stanza poco prima e potevo andare da sola. Mi sono messa a piangere, lei a quel punto ha capito la situazione e mi ha accompagnata".

Nei mesi successivi Silvia ha cominciato a fare molta fisioterapia per recuperare la piena funzionalità dell'arto. "Ho dovuto fare tutto a mie spese. Nei mesi successivi non sono riuscita a tenere in braccio mio figlio, a cullarlo mentre stavo in piedi". Silvia si è informata per fare denuncia, ma le spese mediche e legali sarebbero state troppo alte. "Ero da sola col bambino e ho deciso di lasciar stare".

Dopo quattro anni di fisioterapia ed esercizi, Silvia ha ripreso completamente l'uso della gamba. "Adesso faccio tutto, cammino, corro, ballo. Ma ogni tanto ho dei dolori fortissimi e devo fare molto attenzione".

"Penso che se fossero intervenuti subito con il cesareo, probabilmente tutto questo non sarebbe successo, perché avremmo avuto tutto il tempo di fare l'anestesia e l'operazione con calma senza l'urgenza. Invece durante la visita e il tracciato non mi ascoltavano nonostante avessi un cesareo programmato. Non c'era motivo di forzarmi a fare un parto naturale che non avrei potuto fare". E lancia un appello alle donne: "Vorrei dire a chi ha partorito o dovrà farlo, che queste cose non sono normali. In altri paesi si tratta di fantascienza, qui da noi sono routine. Facciamo in modo che questi comportamenti non siano più normalizzati".

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