Emergenza siccità in Italia

Siccità, viaggio nella Sicilia che si trasforma in deserto: “Siamo costretti a macellare i nostri animali”

Viaggio nella provincia di Caltanissetta, l’area della Sicilia che soffre di più per la mancanza di acqua: speculazioni sulle autobotti usate mentre le dighe restano a secco.
A cura di Luisa Santangelo
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Le capre bevono da una pozza di fango, a Caltanissetta
Le capre bevono da una pozza di fango, a Caltanissetta
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"Chi ha un'autobotte in questo momento in Sicilia è come se avesse un diamante". Renzo Bufalino è il sindaco di Montedoro, in provincia di Caltanissetta. Dalla collina che sovrasta il suo paese, dove c'è l'osservatorio astronomico, si vede tutto "il vallone": la vallata tra i monti Sicani e le Madonie, a cavallo tra la provincia nissena e quella di Agrigento. A guardarlo dall'alto è un deserto.

I nove Comuni del vallone si abbeverano tutti allo stesso acquedotto: quello della diga del Fanaco, gestita da Siciliacque. Il 23 luglio 2024, nel lago Fanaco era rimasta l'1 per cento dell'acqua disponibile. Circa 200mila metri cubi, su un totale autorizzato di venti milioni di metri cubi.

Il caso del lago Fanaco asciutto

Quello che resta del lago Fanaco (all'8 luglio 2024)
Quello che resta del lago Fanaco (all'8 luglio 2024)

Per arrivare al Fanaco bisogna scavallare Caltanissetta, attraversare un pezzo della provincia agrigentina e arrivare a Castronovo di Sicilia, nel Palermitano. La strada non è agevole e gli accessi alla diga sono chiusi dai cancelli. Ma dall'alto qualcosa si riesce a vedere: cespugli, per lo più. Mesi fa, sarebbero stati sommersi dall'acqua. Adesso è uno stillicidio, una goccia dopo l'altra in attesa della secca. La società che gestisce l'invaso sta preparando perfino delle zattere: serviranno per tirare su l'acqua rimasta dalle aree in cui i tubi di immissione nelle condotte non arrivano.

L'obiettivo è non sprecare niente e potabilizzare, depurandola dal fango, l'acqua che si può recuperare. Non è nemmeno più una corsa contro il tempo. È uno degli interventi che la Protezione civile regionale ha chiesto agli enti gestori degli acquedotti in tutta l'Isola, per fare fronte all'emergenza siccità. Ci sono 20 milioni di euro messi sul piatto dalla protezione civile nazionale. Tra le cose da fare, in capo alle amministrazioni comunali, c'è comprare le autobotti. Di seconda mano, perché fanno prima ad arrivare.

Le autobotti "a 120 giorni"

La ricerca, però, è tutt'altro che semplice. Un preventivo medio è fatto più o meno così: per 72mila euro, Iva esclusa, viene via una bella cisterna di seconda mano da 15mila litri. Consegna prevista: "In 120 giorni lavorativi dalla data del presente ordine". Il preventivo porta la data del 3 luglio 2024 e l'azienda che lo emette è abruzzese. Nei 120 giorni lavorativi necessari all'arrivo dell'autobotte, la Sicilia ha fatto in tempo a prosciugarsi un'altra volta. "Ma poi – aggiunge il primo cittadino Bufalino – le autobotti non sono la soluzione. Le autobotti sono una presa in giro per i cittadini".

Non possono bastare per Comuni in cui l'acqua arriva ogni due settimane, mentre siamo ancora a metà dell'estate. I cittadini soffrono. Gli allevatori e gli agricoltori stanno perfino peggio. "Ho dovuto caricare una ventina di capi", ammette Luca Cammarata, allevatore aderente a Coldiretti, produttore di foraggio e prodotti caseari di Caltanissetta. "Caricare in direzione macello", puntualizza. "Nella mia azienda non abbiamo mai fatto selezione". L'allevamento che fa lui è di tipo estensivo, l'agricoltura è biologica: capre, pecore e mucche pascolano libere nei campi e mangiano l'erba e il foraggio che lì vengono prodotti.

Gli allevatori costretti a macellare

Siccità in Sicilia

"Se un animale sta male, muore qui con noi…". Ora, però, "cibo zero, acqua zero… Siamo costretti a macellare alcune delle bestie, diciamo così, meno produttive". Perché c'è da razionare le disponibilità, da salvare il salvabile. Fabio Scarantino è un giovane allevatore di bovini. Ha ripreso in mano l'azienda con i suoi fratelli una decina di anni fa: "Per passione", spiega. Lui non ha macellato, ma non ha cresciuto nuovi vitelli per destinarli alla riproduzione.

"Ci sono delle regole da seguire per il benessere e l'igiene degli animali – ricorda Scarantino – Senz'acqua non siamo in grado di garantire che loro stiano bene". A lui servono poco meno di diecimila litri di acqua al giorno. Ha una cisterna da 50mila litri perciò, quando riesce a riempirla, è autonomo per quasi una settimana. Ma i turni per l'erogazione sfiorano le due settimane. "Così non si può programmare – commenta – Non possiamo nemmeno pagare i mutui agrari". È tutto fermo per un'emergenza certificata a livello nazionale, del resto.

Da cosa, poi, rischia di nascere cosa: animali macellati o non allevati si tradurranno, quando l'estate sarà passata, in un numero minore di animali da macellare. E quindi il costo della carne salirà e il mercato dovrà fare fronte alle richieste con l'importazione di carne dal resto d'Italia o dall'estero. Chi lo fa di mestiere vede lo scenario molto chiaramente e, afferma, a questo punto non c'è niente che si possa fare per evitarlo.

"Il mio lago era un furto allo Stato"

Anche Giovanni Cirasa ha rallentato la sua produzione di pulcini. Ha una piccola azienda a San Cataldo, si occupa di tutela di razze autoctone. La gallina cornuta di Caltanissetta è la sua più grande soddisfazione: "Questa specie l'abbiamo salvata noi". A luglio, normalmente, avrebbe diverse centinaia di pulcini. Adesso se ne ha cinquanta sono tanti, dice. Con altri allevatori si dà un aiuto come può: chi ha, nei propri terreni, pozzi a cui attingere condivide l'acqua. Anche lui ha cominciato dieci anni fa.

"La prima cosa che ho fatto, in un altro terreno, è stata costruire tre laghi – racconta a Fanpage.it – E mi sono beccato tre denunce, perché non si può fare. Avevo chiesto i permessi, ma è stato impossibile a livello burocratico. Vedevo passare l'acqua ma non la potevo toccare, era un furto allo Stato".

Per lui quella situazione era "il colmo". Il fatto, però, è che non si può deviare un torrente per farsi il proprio approvvigionamento idrico privato, per quanto condiviso con la comunità di colleghi. "Ma se lo Stato non fa i pozzi, se non si lavora sulla portata degli invasi e sulle condotte, che si deve fare?", domanda. Adesso, comunque, quei laghi sono ancora lì. Secchi come l'intera, desertica Sicilia centrale.

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