Siccità, l’Adige ai minimi storici: “Non si era mai visto un livello così basso del fiume”
È ai minimi storici la portata del fiume Adige. Gli abitanti di Trento lo guardano increduli mentre incalzano le ciclabili che lo percorrono ai lati. "Non si era mai visto un livello così basso del fiume", ci spiega il Presidente di Legambiente Andrea Pugliese, "poi è chiaro, possono esserci tante concause come i rilasci delle dighe ma sicuramente così basso non credo sia mai stato visto".
Sofferente e debole il corso del fiume Adige: "Gli effetti dei cambiamenti climatici che sembravano una cosa lontana, li stiamo ormai vedendo proprio tutti gli anni anche qui. Temperature molto alte d'estate, mancanza di piogge per mesi in tutto il nord Italia, sono tutti fenomeno che non si registravano nell'arco di un centinaio di anni".
"Tutto questo ha un effetto sulle nostre vite", continua il Presidente di Legambiente Trento, "ed ora che è in discussione la strategia per far rispettare la transizione ecologica dobbiamo cercare di non dimenticarci che questa è una grandissima emergenza e più aspettiamo e titubiamo, peggio è".
A fare da spalla ad Andrea Pugliese, c'è anche l'idrobiologo ed ecologo fluiviale Maurizio Siligardi: "L'Adige è basso, non piove, impervia la siccità, dobbiamo cambiare immediatamente strategia per cercare di trattenere l'acqua il più possibile". Parla con concretezza e visione proponendo una strategia mini-invasiva per trattenere l'oro blu. "Fino ad ora si è sempre pensato di trattenere l'acqua mediante dei grandi bacini", spiega Maurizio Siligardi, "ma non è sufficiente perché questi bacini sono esauribili e bisogna riempirli. Se non piove, non si riempiono. Bisogna cambiare paradigma".
Come provare a salvare i fiumi del nord-est e gli ecosistemi? "L'acqua deve restare. Si deve infiltrare nel terreno e restare a disposizione nelle falde. Si facciano degli arginelli, due metri quadri di pozze artificiali per il ristagno dell'acqua, nel territorio, nei boschi, ma non uno: mille, diecimila, solo così potremo far infiltrare l'acqua nel terreno e trattenerla più a lungo per poi utilizzarla". Altrimenti, secondo l'idrobiologo Maurizio Siligardi, il rischio è sempre quello: "che scorra via veloce e non resti a disposizione. Se continuiamo a fare opere di velocizzazione dell'acqua, non riusciremo ad usufruirne".