Siccità: gli acquedotti italiani ridotti a colabrodo, quasi la metà dell’acqua va perduta
Quasi la metà dell'acqua distribuita attraverso le reti idriche italiane non arriva nei rubinetti delle case ma si disperde a causa dell'obsolescenza degli acquedotti e del loro pessimo stato di manutenzione. Le differenze tra nord e sud Italia sono abissali: ci sono intere regioni del Paese in cui è impossibile persino monitorare lo stato delle reti perché non sono note neppure alle società che erogano il servizio idrico. Mentre milioni di cittadini sono alle prese con la siccità, e mentre aumentano di giorno in giorno gli enti locali che introducono provvedimenti di razionamento e invitano a un uso parsimonioso della più preziosa delle risorse, Fanpage.it ha chiesto ad Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) di fornire una "fotografia" sullo stato delle reti idriche italiane. Secondo Andrea Guerrini, componente del collegio dell'ente e presidente del WAREG (Network regolatori idrici europei), lo stato dei nostri acquedotti è critico, "seppur in miglioramento". E ciò che è più grave è che i ripetuti allarmi lanciati da Arera non sono stati mai ascoltati dal Governo.
Qual è lo stato delle reti idriche italiane?
Critico, ma in graduale miglioramento. Rispetto al panorama di alcuni Paesi europei come Germania, Danimarca e Austria – che da decenni investono sulle loro reti idriche e che hanno livelli di perdite inferiori al 10% – siamo oggettivamente in ritardo: in Italia le perdite sono mediamente di poco superiori al 40%, con differenze territoriali importanti. Tuttavia da 10 anni a questa parte anche nel nostro Paese le cose iniziano ad andare meglio grazie al lavoro di Arera e agli investimenti delle aziende che erogano il servizio idrico, che nella maggior parte dei casi hanno risposto agli stimoli che il nostro ente ha fornito.
Quali sono i territori in cui avete rilevato le maggiori dispersioni d'acqua?
Partirei dal dato nazionale: le perdite sono passate dal 43,7% del 2019 al 41,2% del 2020. Oggi siamo al 40,7%. C'è stato un lento miglioramento di pochi punti percentuali dovuto agli importanti investimenti effettuati in alcune aree del territorio. Le aziende che fanno registrare le migliori performance si trovano al nord, ce ne sono poi alcune al centro e molto poche al sud Italia. Esiste chiaramente un water service divide e in regioni come la Calabria, il Molise e parte della Sicilia ci sono gestori privi di un affidamento ai sensi di legge, che di conseguenza non dialogano con Arera e non ci forniscono informazioni. Quel dato del 40,7% di perdite, dunque, è riferito alla sola popolazione censita, ovvero circa l'80% degli italiani. Il resto non è neppure censito e presumiamo che il dato sulle perdite sia molto alto, ben superiore al 40%. Ma lì manca persino un soggetto in grado di svolgere un monitoraggio della rete idrica…
Il gap tra regioni del nord e del sud è allarmante?
Sì, lo è. Nel luglio del 2021 Arera ha segnalato al Governo questo divario territoriale chiedendo un intervento urgente per attivare al più presto una gestione industriale nelle aree del Sud Italia prive di affidamento. Mi riferisco, come detto, agli interi territori di Calabria e Molise e a parte della Campania. Auspicavamo che nel PNRR si investisse molto su questo aspetto, ma così fino ad oggi non è stato. La nostra proposta era quella di fornire un tempo massimo di 180 giorni agli enti d'ambito e alle regioni per effettuare un affidamento ai sensi di legge; decorsi questi termini la gestione del servizio idrico sarebbe stata affidata ad aziende di Stato a controllo interamente pubblico per 4 anni. La nostra proposta, tuttavia, non è stata finora ascoltata dal Governo.
Giudicate sufficienti gli investimenti delle società che erogano il servizio nella manutenzione delle reti? Alcune di queste generano importanti utili e sono quotate in borsa.
Intuitivamente si potrebbe pensare che società quotate in borsa non abbiano interesse a effettuare investimenti ma prevalentemente a utilizzare le risorse disponibili per altri fini. In realtà, grazie all'impostazione dei modelli regolatori, esiste un incentivo agli investimenti: le società che vogliono remunerare il capitale alla fine dell'anno sono spinte a migliorare la qualità del servizio. Negli ultimi 10 anni gli investimenti sono passati dai 20/30 euro per abitante ai 50 euro per abitante, con punte di 80 in alcune aree del Paese. Certo, siamo ancora lontani dai livelli di 120/150 euro per abitante che si riscontrano a livello europeo…
Ecco, parliamo di come vanno le cose all'estero?
Anche a livello europeo abbiamo un water service divide: ci sono territori come quelli dell'ex Unione Sovietica che hanno grandi difficoltà soprattutto per quanto riguarda la depurazione delle acque, sebbene siano stati fatti importanti miglioramenti negli ultimi anni. Ci sono però anche Paesi virtuosi: in molti leander tedeschi i livelli di perdite sono abbondantemente inferiori al 10%. In Danimarca è stato introdotto un meccanismo che penalizza le aziende erogatrici del servizio idrico che fanno registrare perdite superiori al 10%. In Italia non mi risulta ci sia nessuna società che fa registrare performance simili.
L'Italia è da settimane alle prese con una grave siccità: quali sono proposte di Arera per ridurla?
Quello della siccità è un argomento che riguarda il comparto idrico a 360 gradi. Non c'è solo la parte "civile", ma soprattutto quella del comparto agricolo che consuma enormi quantità di risorse idriche. Come Arera possiamo limitarci a fare delle proposte al governo: una di queste è che, come avviene in Israele, venga data la possibilità agli agricoltori di utilizzare acqua proveniente dai depuratori per le irrigazioni dei campi, anziché lasciare che si disperda in rivoli che finiscono poi in ruscelli, bacini e laghi. Si tratterebbe di una risorsa preziosa che dovrebbe essere utilizzata, specialmente in questi giorni, per finalità esclusivamente irrigue. Purtroppo questo non accade, tranne che in rari casi.
Perché?
Le società che gestiscono il servizio idrico oggi non sono obbligate a fornire acqua proveniente dagli impianti di depurazione adeguatamente trattata e pronta per essere utilizzata in agricoltura. Dall'altro lato gli agricoltori non sono incentivati a consumare acqua che arriva dai depuratori, perché quella di falda ha per loro un costo irrisorio. Credo quindi che le aziende debbano mettere a disposizione gratuitamente l'acqua dei depuratori per finalità irrigue e che il governo debba lavorare affinché ciò sia possibile.