Si licenzia per farsi mantenere dall’ex marito. Cassazione: “Non ha diritto all’assegno di mantenimento”
La "tempistica del suo licenziamento" è stata indiscutibilmente perfetta perché avvenuta "in concomitanza con la separazione" dal marito. Per questo motivo la Cassazione si è opposta alla richiesta della signora Aurora M. di avere l'assegno di mantenimento dall'ormai ex coniuge.
Come ricostruito, la donna si era fatta cacciare apposta dall'azienda di suo padre, della quale lei stessa era socia e dipendente, al solo fine di "sostenere" davanti al giudice "la richiesta di assegno a carico del consorte", peraltro "dopo una vita coniugale breve, senza figli, e non connotata da alcuna particolare contribuzione al menage familiare".
Su queste basi gli ‘ermellini' – verdetto 9550 della Prima sezione civile – hanno confermato che, in circostanze simili, la perdita del lavoro non può essere addebitate alle difficoltà del mercato ma si deve considerare come una "scelta" personale, e dunque non c'è alcun diritto a chiedere il vitalizio in caso di crisi coniugale.
La Cassazione ha confermato quanto già stabilito dalla Corte di Appello di Lecce nel 2021: Aurora M. non avrebbe dato alcuna prova del suo "contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune" dal momento che "neppure si è occupata della cura della casa avendo a disposizione personale di servizio".
Inoltre quando il marito per lavoro venne promosso e trasferito a Messina, a dirigere l'Arsenale, lei non aveva voluto seguirlo, pur adducendo il fatto di avergli fornito il sostegno "morale" per arrivare a quella posizione per la quale doveva ringraziare lei.
La donna aveva appunto fatto ricorso in Cassazione motivando il suo diritto a ricevere l'assegno di mantenimento nel fatto che il successo professionale del marito è l'esempio del fatto "che dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna", e che essendo lei una cinquantenne diversamente dal marito aveva meno possibilità di "trovare nuovi partner" e rifarsi una vita.
Tutti argomenti che la Suprema Corte – presidente del collegio Giulia Iofrida, relatrice Rita Russo – ha trovato "generici e giuridicamente irrilevanti" in quanto si tratta di "dissertazioni focalizzate su luoghi comuni e stereotipi".