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Sgozzata nel bosco alla vigilia delle nozze, la storia di Elvira Orlandini

Quando uscì per andare a prendere l’acqua alla fonte del Botro della lupa, nei boschi vicino casa, il 5 giugno del 1947, Elvira Orlandini stava preparando il corredo per le nozze. Il suo candido abito, la domestica della villa della ricca famiglia Salt, lo avrebbe messo per andare nella tomba. Fu trovata sgozzata dai fedeli in processione per il Corpus Domini. Il suo caso riempì le prima pagine dei giornali fino all’enigmatico epilogo.
A cura di Angela Marino
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Due anni passati dalla fine della Guerra, Mussolini sepolto con le ceneri della follia imperialista e le divise di centinaia di ragazzi che non avevano neanche cominciato a vivere: l’Italia stanca, affamata, si rimetteva in cammino sulla strada del progresso. Eppure dei fermenti di quel 1947 a Toiano, grumo di case diroccate nelle campagne toscane, nulla si sentiva. I contadini continuavano ad arare la terra per i signori, le ragazze a ricamare iniziali sui corredi lindi e profumati e a leggere le lettere dei loro innamorati. Così passava il tempo Elvira Orlandini, considerata, a 22 anni, la più bella di Toiano e ormai prossima al matrimonio. Elvira, figlia di contadini, lavorava come cameriera nella villa dei Salt, signori svizzeri, ma era promessa a Ugo Ancilotti, giovane veterano di guerra che abitava poco distante dalla villa. Il pomeriggio del 5 giugno scomparve misteriosamente dopo aver detto all’amica Iva che sarebbe andata a prendere alla fonte del bosco l’acqua necessaria alla casa. Duecento metri la separavano dalla sorgente dove la famiglia si approvvigionava, ma Elvira non tornò. Eppure la futura sposa più bella di Toiano, era proprio lì, a due passi dal burroncello chiamato Botro della Lupa, pallida e dormiente come Biancaneve. La trovarono i fedeli in processioni per il Corpus Domini, quel giovedì 5 giugno. Elvira, però, non era addormentata, aveva la gola tagliata da un orecchio all’altro. La bella Elivira il suo candido vestito lo avrebbe indossato per andare nella tomba.

L'omicidio che divide l'Italia

Neanche la guerra aveva sfiancato Toiano come l’assassinio della figlia degli Orlandini. Lei Rosaria, piegata dal dolore continuava a pregare con le altri comari del paese per l’anima di sua figlia, lui Antonio, impietrito, svuotato passava le notti sveglio a immaginare sua figlia nelle mani del bruto, finché non bussò alla loro porta il maresciallo Leonardi, arrivato da Pontedera a occuparsi del caso, con un nome in punta di labbra: Ugo Ancillotti. Il fidanzato di Elvira è il sospettato numero uno per la sua vicinanza alla vittima, ma anche perché è stato uno dei primi ad arrivare sul posto. Non tutti sono convinti di questa tesi, però. Tra le colline di Palaia, la paura del lupo dei boschi, del feroce assassino assetato di sangue giovane, spira come un vento gelido. Le ragazze tornano a casa prima del tramonto, si guardano le spalle, non escono mai sole.

Maghi, medium e sensitivi

Il mostro del Botro della Lupa è finito anche sulle pagine di giornale che la censura del Ventennio aveva ripulito da ogni brandello di cronaca nera. L’Italia si divide, centinaia di persone scrivono ai giornali raccontando di aver visto il fantasma di Elvira, sedicenti medium e maghi scrivono alla famiglia professandosi in contatto con la povera defunta. Quella storiaccia brutta di Toiano ha un eco tale che anche fuori dall’Italia mitomani e appassionati azzardano ipotesi investigative. Disparate, forzate, macabre, alcune fanno riferimento a particolari del caso considerati, dalla stampa dell’epoca, scabrosi. A Elvira, infatti, sono state portate via le mutandine e proprio questo particolare rovescia sulla vittima una insaziabile curiosità: Elvira era vergine? Qualcuno la corteggiava?

A processo il promesso sposo

Sui banchi del tribunale, a Pisa, intanto, si discutono prove e indizi. Più che altro, questi ultimi, considerato che contro Ancillotti, l’imputato, mancano proprio le prove schiaccianti, tanto che la sua difesa viene assunta niente meno che da Giacomo Picchiotti, parlamentare socialista e principe del foro, che per il veterano lavora gratis, convinto che si tratti di un imperdonabile errore giudiziario. Il processo comincia il 21 marzo 1948, fuori dal tribunale migliaia di persone scommettono con i bookmaker clandestini, il Paese ha il fiato sospeso. Ancillotti, provato, scuro, sostiene le domande dell’accusa sui suoi rapporti con Elvira, le domande sulla gelosia, le indiscrezioni che fanno male, mentre dai banchi del pubblico i genitori, della vittima e dell’imputato, assistono annichiliti.

Il verdetto

Dal processe emerge chiaramente come interrogatori, sopralluoghi, testimonianze, non abbiano prodotto una sola prova incontrovertibile contro l'ex militare. Non solo non vi sono elementi schiaccianti, ma anche il castello indiziario comincia a traballare. Nel Botro della Lupa sono state ritrovate impronte di scarpa numero 40, ma Ancillotti porta il 43, di chi erano? Avrebbe potuto, l'imputato, sgozzare la povera Elvira ed arrivare a casa inzuppato di sangue, riuscendo a ripulirsi e cambiarsi per arrivare presentabile sul luogo del ritrovamento? E se l'assassino, invece, fosse stato molto più vicino al luogo del delitto? A villa Salt, per esempio.

Cosa non sapremo mai della storia di Elvira

Dopo due anni di processo Lancillotti viene assolto ‘per insufficienza di prove'. E l'assassino della selva, resta, come nell'immaginario collettivo è Elvira, un fantasma. Al silenzio del bosco, univo vero protagonista della storia, vengono affidati tutti i dubbi. Come quelli sulla testimonianza dell'amica Iva, che doveva andare alla fonte con Elvira e poi non vi andò più e che raccontava di averla vista emaciata e stanca, o quella di una maga di Pontedara secondo la quale la ragazza le avrebbe confidato di essere incinta e di avere paura di morire, quella sulla relazione con un ricco rampollo del luogo, o quella, ancora, contenuta in una lettera anonima, di un uomo che consigliava a Ugo di non sposare la bella Elvira.

L'epilogo

Restano sepolte, le domande, sotto il manto di edera che oggi inghirlanda la lapide con la foto della ragazza uccisa, nel Botro della Lupa. Settantun anni dopo la bella Elvira non attende più giustizia, si è consegnata alla memoria con la sua storia maledetta, dove vive, oggi, come una delle tante leggende dei boschi.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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