Sentenza Foodora, le motivazioni: “Non c’era subordinazione tra fattorini e azienda”
Nessun obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e nessuna subordinazione al "potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro". A ciò si aggiunge che la riforma del lavoro del governo Renzi – il Jobs Act – ha ristretto l'ambito della subordinazione, che ora non include i cococo. Sono questi alcuni dei passaggi fondamentali contenuti nelle motivazioni della sentenza con cui il giudice Marco Buzano del tribunale di Torino lo scorso 11 aprile ha respinto il ricorso di sei fattorini di Foodora che chiedevano il riconoscimento della natura subordinata del rapporto con l’azienda contestando di essere stati “allontanati” dai dirigenti per aver protestato contro le condizioni di lavoro. I rider sono assistiti dagli avvocati Giulia Druetta e Sergio Bonetto ed hanno già annunciato che ricorreranno in appello.
Secondo il giudice Buzano che “il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era caratterizzato dal fatto che i ricorrenti non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla“. “È pacifico – si legge nella sentenza – che i ricorrenti potevano dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non erano obbligati a farlo; a sua volta Foodora poteva accettare la disponibilità data dai ricorrenti e inserirli nei turni da loro richiesti, ma poteva anche non farlo”. Secondo il giudice tale caratteristica “può essere considerata di per sé determinante ai fini di escludere la sottoposizione dei ricorrenti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro”.
In un passaggio Buzano tira in ballo il Jobs Act, spiegando che “forse nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto ampliare in qualche modo l’ambito della subordinazione, includendovi delle fattispecie fino ad allora rientranti nel generico campo della collaborazione continuativa. Ma così non è stato“. Il giudice spiega che, così come è stata formulata, la legge ha “addirittura un ambito di applicazione più ristretto” di quanto prevede il codice civile. Il riferimento, in particolare, è all’articolo 2 del Jobs Act, secondo cui “si applica la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni esclusivamente personali". I fattorini avevano invocato l’applicazione di questa norma, incontrando l'opposizione dell'azienda che, secondo il Tribunale, è stata pienamente motivata. Il giudice motiva la sua decisione con il modo in cui la legge è stata redatta: la disciplina del lavoro subordinato si applica “qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche (‘anche’ è sottolineato) con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Nel caso di Foodora, i rider non potevano avanzare questa rivendicazione perché “avevano la facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di lavoro”.
A ciò si aggiunge che i “nuovi strumenti di comunicazione” come le “email, app” sono stati utilizzati per determinare il luogo di lavoro, verificare la presenza dei rider nei punti di partenza, ma non invece per “il costante monitoraggio della prestazione”, come denunciavano i fattorini.
Il commento della sentenza da parte di Foodora
L'azienda ha commentato le motivazioni della sentenza emessa dal Tribunale di Torino: "Nel corso dei mesi la nostra controparte ha cercato di spostare altrove la sede della discussione da quella sua propria, che è stata il giudizio avanti al Tribunale del lavoro, veicolando informazioni non corrette. Basti pensare al fatto che si è continuato a insistere con la tesi dell’allontanamento o addirittura del licenziamento ritorsivo quando a tutti i ricorrenti era stata proposta, prima della scadenza contrattuale, la sottoscrizione di un nuovo contratto di collaborazione. Sono i ricorrenti che hanno deciso liberamente di non proseguire la collaborazione e ciò è emerso nel corso del giudizio.
Il Giudice del Lavoro di Torino, come si legge nella sentenza pubblicata il 7.5.18, sulla base degli atti e dei documenti depositati dalle parti e di quanto riferito dai testimoni indicati da entrambe le parti, ha ritenuto che i riders non sono lavoratori subordinati in quanto: «Non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa». I «nuovi strumenti di comunicazione» quali «e-mail […] internet[…] apposite “app” dello smartphone» sono stati utilizzati per dimostrate esigenze di coordinamento. Sono risultati esclusi nei fatti il «costante monitoraggio della prestazione», l’obbligo di seguire percorsi predefiniti e di prolungare l’orario di lavoro. E’ stato escluso l’esercizio di qualsiasi potere disciplinare da parte dell’azienda nei confronti dei riders. E' Invece emerso che i rider potessero non presentarsi nonostante fosse stata confermato la loro presenza, utilizzando la funzione "swap" oppure senza avvisare (cd. no show), senza alcun tipo di sanzione.E’ stata esclusa la violazione delle norme antinfortunistiche. Con riguardo alla privacy ha ritenuto esauriente l’informativa sottoscritta dai riders al momento della stipulazione del contratto di collaborazione. A seguito della sentenza, Foodora intende ribadire che i rider sono parte fondamentale del suo successo. Per questo motivo, da sempre, rispetto alla prassi tipica del settore, Foodora ha scelto di stipulare con i rider contratti di collaborazione coordinata e continuativa che, a differenze di collaborazioni in ritenuta d’acconto o con partita IVA, prevedono importanti tutele come i contributi Inps e l’assicurazione Inail in caso di infortuni sul lavoro, oltre ad una polizza assicurativa in caso di danni contro terzi che la società tiene a suo carico".