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Opinioni
Cambiamenti climatici

Sei falsi miti sulle auto elettriche

Lo stop alla vendita dei veicoli a motore termico, alimentati a benzina o a diesel nel 2035 per centrare gli obiettivi di abbassamento delle emissioni dell’Unione Europea e fermare così i cambiamenti climatici, ha scatenato la propaganda. Sfatiamo sei falsi miti sulle auto elettriche.
A cura di Fabio Deotto
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Una cosa che riesce allo stesso tempo ad affascinarmi e sconcertarmi di noi italiani è la spiccata tendenza che abbiamo a dividerci in tifoserie opposte. La polarizzazione è praticamente uno sport nazionale, e in queste settimane si sta giocando una partita particolarmente accesa sulla questione delle auto elettriche. Da quando il Parlamento UE ha approvato a maggioranza la decisione di vietare l’immatricolazione di veicoli a benzina e gasolio a partire dal 2035, il dibattito pubblico si è spaccato in due: da una parte c’è chi sostiene che la decisione europea (contro cui i partiti dell’attuale governo hanno votato compatti) sia scellerata e controproducente; dall’altro chi invece ritiene che le auto elettriche siano l’unico mezzo che potrà accompagnarci fuori dalla crisi climatica.

Io stesso, lo ammetto, non sono immune a questa tendenza alla polarizzazione, ma se mi prendo un momento per riflettere e valutare tutte le dinamiche in gioco, mi rendo conto che il dibattito sulle auto elettriche presenta falle su entrambe le sponde. E allora forse è il caso di prendere in esame singolarmente alcuni degli scenari prospettati.

Dal 2035 non sarà più possibile guidare auto a combustione interna: falso

La misura approvata dal Parlamento UE vieta l’immatricolazione di veicoli con motori a benzina e a gasolio, è vero, ma questo non impedirà a chi già possiede un’auto a combustione interna di utilizzarla nelle strade europee, né a chiunque di comprarne una usata. È anche falso affermare che il provvedimento vieterà la vendita di nuovi veicoli a combustione interna, dal momento che rimane la possibilità di produrre motori alimentati a idrogeno verde (ossia prodotto tramite impiego di energia rinnovabile) e a carburanti sintetici (ovvero quelli ottenuti sequestrando il carbonio presente nell’atmosfera).

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Le auto elettriche non aiutano davvero a ridurre le emissioni: falso

Una delle polemiche più gettonate riguarda le emissioni: le auto elettriche non sono a impatto zero perché la loro produzione e il loro utilizzo comporta una produzione di gas serra. Vero, ma il punto è che nessuno che non sia in malafede va in giro a dire che le auto elettriche comportino un azzeramento totale delle emissioni. Il punto è: sommando tutte le possibili fonti di inquinamento, sono effettivamente meno inquinanti? La risposta è: sì, molto meno.

Se infatti è vero che il processo di produzione di un veicolo elettrico al momento comporta più emissioni rispetto alla controparte a combustione, è anche vero che il grosso delle emissioni imputabili a veicoli elettrici viene generato con il loro utilizzo, e questo per un motivo semplice: sebbene le vetture elettriche non producano emissioni in modo diretto, non avendo un motore a combustione, è vero che l’energia elettrica che le alimenta in molte nazioni è prodotta consumando combustibili fossili. Ma anche in quei paesi in cui una parte significativa dell’elettricità proviene da centrali a carbone le emissioni di un’auto elettrica nel corso del suo arco di utilizzo saranno nettamente inferiori a quelle di un’auto a combustione (in media tre volte più basse). Considerando che nei prossimi anni una quota sempre maggiore della produzione elettrica nazionale proverrà dalle rinnovabili, le emissioni imputabili ai veicoli elettrici sono destinate a ridursi ulteriormente.

Il problema da risolvere, semmai, riguarda il processo di produzione delle batterie, dal momento che l’estrazione di litio e cobalto al momento è tutt’altro che sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che umano. La stragrande maggioranza del cobalto usato in questa filiera proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, dove è estratto in condizioni precarie, senza strumentazione e protezioni adatte, spesso ad opera di minori e bambini. Questi processi inoltre creano scorie e fumi che si disperdono nell’ambiente danneggiando pesantemente le comunità vicine. Problematiche analoghe riguardano l’estrazione di litio, che oltre ad avere un impatto ambientale non da poco spesso richiede l’utilizzo di enormi quantità d’acqua, che in molti casi vanno a colpire gli approvvigionamenti delle popolazioni locali.

Una transizione ecologica equa non potrà prescindere da una seria regolamentazione di questo mercato.

Le batterie delle auto elettriche ci renderanno dipendenti dalla Cina: falso

Una delle false credenze più aerodinamiche sulla mobilità elettrica riguarda le batterie: nello specifico il fatto che richiedano materie prime difficilmente reperibili e che non saremo mai in grado di produrle in autonomia, il che ci renderà dipendenti da produttori esteri, in particolare la Cina. Mettiamo un po’ di ordine: se oggi la produzione di auto elettriche è subordinata alle importazioni da paesi esteri non è tanto per via dell’irreperibilità di materie prime come litio e cobalto, o di terre rare come neodimio e lantanio, quanto per il fatto che i maggiori produttori dei componenti intermedi per la costruzione di motori e batterie elettriche appartengono al mercato asiatico. Questo ritardo sulla filiera è sicuramente problematico, ma l’UE sta già lavorando per colmarlo.

Un’altra fandonia che circola molto riguarda la presunta impossibilità di riciclare le batterie delle auto elettriche: in realtà, non solo le batterie usate di un veicolo elettrico possono essere riconvertite come accumulatori per altre destinazioni d’uso, ma è già oggi possibile recuperare il 90% dei materiali di fabbricazione (tra cui le tanto citate terre rare) per costruire nuove batterie.

Per farsi un’idea di quanto il riciclo di batterie sia già oggi una realtà, è sufficiente tenere conto che negli ultimi anni negli US sono stati realizzati talmente tanti impianti di riciclaggio dedicati alla mobilità elettrica che ora ce ne sono addirittura troppi, tanto che si prevede non entreranno a pieno regime prima di altri dieci anni.

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Non saremo mai in grado di installare per tempo abbastanza colonnine di ricarica: falso

Ad oggi nel nostro paese circolano all’incirca 170.000 veicoli elettrici. I punti di ricarica disseminati per il territorio invece sono poco meno di 37.000. Questo fa dell’Italia il terzo paese con più punti ricarica per veicolo di tutto il continente europeo. Per capirci, abbiamo più colonnine di ricarica per veicolo di Francia, Germania e Norvegia, siamo dietro solo a Belgio e Olanda.

Com’è possibile? È possibile perché abbiamo un parco auto elettriche ancora molto esiguo, ma in compenso la distribuzione dei punti di ricarica sta crescendo a ritmo sostenuto: tra il 2021 e il 2022, per dire, sono aumentati del 40%, mentre le stazioni di rifornimento in autostrada sono quadruplicate.

Intendiamoci, c’è ancora molto da fare: la maggior parte delle colonnine infatti permette un rifornimento lento e la quota di punti di ricarica sui tracciati autostradali è ancora bassa. Ma il trend di crescita è tra i migliori in Europa; questo, unito al fatto che l’autonomia di percorrenza di queste vetture è in crescita e già oggi si assesta tra i 300 e i 400 km, andrà a erodere gran parte dei falsi miti che ancora oggi trattengono potenziali acquirenti.

La nostra rete elettrica non è in grado di sostenere milioni di auto elettriche: falso

Una delle argomentazioni più sbandierate da chi si oppone al provvedimento UE è che il passaggio all’elettrico del mercato auto porterà a una domanda di elettricità che il nostro sistema non sarà in grado di gestire. Cominciamo col dire una cosa: al 2035 mancano 12 anni e come abbiamo già spiegato su queste pagine l’ammodernamento della rete elettrica è un passaggio fondamentale per procedere sulla strada di una transizione ecologica efficace. Detto questo, la rete elettrica italiana è perfettamente in grado di assorbire l’atteso aumento di veicoli elettrici nel breve termine; chi sventola lo spauracchio di un sovraccarico ipotizzando scenari in cui tutti metteremo in carica le nostre auto nello stesso momento o è in malafede, o non ci ha ragionato abbastanza (basterebbe rendersi conto che l’eventualità è improbabile quasi quanto quella in cui tutti i 39 milioni di veicoli a combustione si recassero in contemporanea alla stazione di rifornimento).

Certo, nel caso delle auto elettriche una buona percentuale dei veicoli verrà ricaricata in orari notturni, ipotizzando che molti degli acquirenti appronteranno un sistema di ricarica domestico, ma anche questo è meno problematico di quanto sembri. L’ammodernamento della rete elettrica nei prossimi anni dovrà per forza di cose prevedere un adeguamento delle sottostazioni elettriche, così da poter garantire un sufficiente numero di punti di ricarica e una sufficiente potenza, inoltre dovrà diventare più distribuita e interconnessa, così da consentire una migliore integrazione delle fonti rinnovabili e una maggiore resilienza. In uno scenario simile, la presenza di un numero nettamente maggiore di auto elettriche potrebbe addirittura rappresentare un vantaggio, dal momento che in una smart-grid le batterie delle vetture allacciate al sistema possono essere sfruttate come elementi di stoccaggio.

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La cosa migliore che possiamo fare contro la crisi climatica è sostituire tutte le auto a benzina con quelle elettriche: falso

Tra chi si batte in difesa della decisione del Parlamento UE c’è chi sostiene senza tema di smentita che il passaggio alle auto elettriche rappresenti l’azione più importante per la lotta alla crisi climatica. Dietro questa affermazione spesso c’è della buonafede, ma di fatto è falsa anch’essa. Perché è vero che ad oggi il trasporto privato a combustione è una delle maggiori fonti di emissioni (e inquinamento urbano) ed è a tutti gli effetti insostenibile, ma è anche vero che è altrettanto insostenibile la prospettiva di sostituire l’intero parco auto (ossia un miliardo di veicoli) con dei corrispettivi elettrici.

Quando pensiamo alla crisi climatica tendiamo a concentrarci sulle emissioni e sulla componente energetica, il che è comprensibile e anche giusto, ma il rischio è di perdere così di vista come l’intero sistema produttivo sia di fatto problematico. Anche eliminando il problema delle emissioni i processi produttivi di massa su cui è incardinato il nostro sistema, se non verranno ridimensionati, continueranno a creare problemi a livello di consumo di suolo, di acqua, di risorse naturali, di inquinamento chimico e degradazione della biodiversità. E non parliamo di problemi da poco, parliamo di limiti planetari superati i quali questo pianeta diventerà molto meno vivibile (e sfruttabile economicamente, se è per questo).

L’idea di risolvere la crisi climatica sostituendo un business tossico come quello automobilistico con uno altrettanto impattante ma “verde” è dissennata almeno quanto quella di continuare a utilizzare automobili a combustione. Il problema è che siamo talmente abituati a considerare l’automobile un sinonimo di libertà di spostamento individuale da non renderci conto quanto sia assurda una mobilità che riservi uno spazio preferenziale al trasporto privato. Per rendersene conto basta provare dare un’occhiata alle nostre città e prendere nota di quanto spazio sia occupato da automobili, o da corsie e strade ad esse dedicate. La crisi climatica sta trasformando le città in trappole di calore sempre meno vivibili, tanto che spesso è sufficiente uscire dal perimetro urbano per registrare un abbassamento delle temperature anche di 10 gradi centigradi. Per contrastare questo fenomeno sarà fondamentale riconfigurare gli spazi urbani togliendo spazio ad asfalto e cemento per riconsegnarlo al verde pubblico e agli spazi di incontro sociale e culturale.

Perché ciò accada è fondamentale spostare il baricentro dal trasporto privato pesante (automobili, motorini, etc.) a quello pubblico (tram, metropolitane, treni e bus elettrici) e a quello leggero (reti ciclabili e  pedonabili). Se ci sembra un orizzonte lontano è perché siamo nati e cresciuti in un mondo (e un paese) incardinato all’automobile e ai combustibili fossili. Ma è il caso di ricordare che fino a pochi decenni fa chi auspicava che l’Unione Europea potesse decidere di bandire la vendita di nuovi motori a combustione fossile veniva preso per ingenuo e utopista. Mentre a conti fatti quella persona era assai più pragmatica di molti che oggi pestano i piedi per rallentare la transizione.

Le persone con un reddito medio o basso non potranno permettersi un’auto elettrica: dipende

Nel complesso, utilizzare un’auto elettrica è più conveniente di utilizzarne una a combustione interna; questo principalmente per via del risparmio legato alla sostituzione del carburante con la corrente elettrica e a costi di gestione nettamente inferiori. Non stupisce dunque che il cosiddetto TCO (Total Cost of Ownership; traducibile come costo totale di proprietà) sia già oggi inferiore per i veicoli elettrici. Ma come è noto, il problema non è tanto l’utilizzo di un veicolo elettrico, quanto piuttosto l’acquisto: il differenziale di prezzo rappresenta un ostacolo non da poco, soprattutto per quanto riguarda le utilitarie e i veicoli di fascia più bassa. In alcuni casi un’auto elettrica arriva a costare il 50% in più rispetto alla controparte a benzina. Ora, non serve avere una sfera di cristallo per prevedere che l’aumento della domanda stimolerà le economie di scala necessarie a ridurre il prezzo d’acquisto, che a questo si andrà ad aggiungere l’inevitabile sviluppo di un mercato dell’usato che contribuirà a rendere più abbordabile la soluzione elettrica e che i costi di produzione delle batterie (oggi la parte più significativa del prezzo totale) si ridurranno con lo sviluppo di nuovi approcci e nuove tecnologie.

Il rischio che l’auto elettrica diventi un bene per pochi però esiste. I sondaggi, del resto, parlano chiaro: gli  italiani, potendo, opterebbero per un’auto elettrica; se non lo fanno è per via delle barriere di prezzo e del timore di non poter usufruire di infrastrutture di ricarica adeguate; è chiaro che una transizione come quella prevista di qui al 2035 dovrà prevedere un piano di incentivi che renda l’acquisto e l’utilizzo di auto elettriche più appetibile di quelle a combustione. Fermo restando – e lo vedremo fra poco – che l’obiettivo finale non dev’essere sostituire tutte le auto a combustione con auto elettriche, bensì riprogettare un intero settore all’insegna di una mobilità il più possibile sostenibile.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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