Secondo l’ONU nel 2050 la plastica negli oceani potrebbe superare tutti i pesci
Lo stato di salute degli oceani è "un'emergenza da affrontare". A lanciare l'allarme ieri è stato il segretario generale dell’Onu António Guterres in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite dedicata al tema. "Quando vediamo la Terra dallo Spazio, apprezziamo davvero di vivere su un pianeta blu, l’oceano ci collega tutti purtroppo abbiamo dato l’oceano per scontato e oggi dobbiamo affrontare quella che definirei un’emergenza per gli oceani. Dobbiamo invertire la rotta", ha detto.
Secondo il segretario generale dell'ONU "il riscaldamento globale sta spingendo le temperature oceaniche a livelli record, creando tempeste più violente e più frequenti. Il livello del mare sta aumentando. Le nazioni insulari basse devono affrontare inondazioni, così come molte grandi città costiere del mondo. La crisi climatica sta anche rendendo gli oceani più acidi, sconvolgendo la catena alimentare marina", ha aggiunto.
Appena quattro mesi fa gli Stati membri dell'ONU sono stati criticati da scienziati e ambientalisti per non aver concordato un progetto per la protezione dei mari dallo sfruttamento. L'inquinamento marino sta aumentando e con esso le specie marine a rischio, inclusi squali e razze, le cui popolazioni sono crollate di oltre il 70% negli ultimi 50 anni. Colpa dell'attività umana: infatti quasi l'80% delle acque reflue del mondo viene scaricato in mare senza alcun trattamento, mentre almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani ogni anno. "Senza un'azione drastica, la plastica potrebbe superare tutti i pesci nell'oceano entro il 2050", ha avvertito Guterres, spiegando che "non possiamo avere un pianeta sano senza un oceano sano".
Guterres ha formulato diverse raccomandazioni, invitando le nazioni a una gestione sostenibile degli oceani che potrebbe permettere di produrre sei volte più cibo e generare 40 volte più energia rinnovabile di quella attuale. Attualmente oltre 3,5 miliardi di persone dipendono proprio dai mari per la loro sicurezza alimentare, mentre 120 milioni lavorano direttamente in attività legate alla pesca e all'acquacoltura, la maggior parte nei piccoli stati insulari in via di sviluppo e nei paesi meno sviluppati.