Sebastiano, amico di Giacomo morto per sventare una rapina: “Abbiamo scelto di non girarci dall’altra parte”

A pochi giorni dalla morte di Giacomo Gobbato, attivista del Rivolta di Marghera accoltellato nel tentativo di soccorrere una donna durante una rapina, Sebastiano Bergamaschi, rimasto ferito anche lui quella notte, ricorda cosa è accaduto e spiega perché la morte del suo amico non deve essere vana.
A cura di Redazione
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di Matilde Moro

"Ho scelto insieme a Jack di non girarmi dall'altra parte, cercando di aiutare una donna che aveva appena subito un furto". È passata appena una settimana dalla morte di Giacomo Gobbato, ma la voglia di trasformare in azione il dolore è già forte. Sebastiano Bergamaschi, amico di "Jack", che si trovava con lui quella notte e che è rimasto ferito nella colluttazione, à lucido e deciso. D’altronde, per usare le sue parole, “siamo gente che reagisce, scegliamo di farlo da sempre”.

"Io sono stato più fortunato, racconta Sebastiano a Fanpage.it, perché mi ha preso alla gamba, ma Giacomo invece è stato preso al busto. Purtroppo non c'è stato niente da fare per lui, è morto la sera stessa".

Incontriamo Sebastiano nel “Rivolta”. Il cortile del centro sociale di Marghera è pieno di gente che arriva, passa, si abbraccia, rimane per un po'. Per condividere un dolore, per stare insieme, ma anche e soprattutto per fare quello che serve in vista della manifestazione in memoria di "Jack", per organizzarsi e ripartire.

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I ragazzi hanno organizzato una manifestazione proprio a Mestre: “Pensiamo che il modo più alto e coerente di onorare la morte di Giacomo sia quello di fare tutto ciò che è in nostro potere in questo momento, per far si che non ci sia mai più bisogno di un altro Giacomo. Per questo abbiamo scelto di lanciare subito una manifestazione che porti esattamente questi temi, che riesca essere un fuoco che si diffonde sempre di più e faccia aprire gli occhi a sempre più persone".

"Il ricordo e la memoria di Giacomo non finiranno qua, spiega Sebastiano, ma oggi è il primo passo per riuscire a far sì che le tantissime energie e il tantissimo supporto che stiamo ricevendo da tutta Italia si trasformino in qualcosa che quotidianamente cambia la situazione, a partire da noi e da tutte quelle persone che lo vorranno”.

“Se dal dolore generiamo odio,” conclude Sebastiano, riferendosi alla vicenda che l’ha visto direttamente coinvolto, alla perdita di un amico che ha sconvolto la collettività, “vuol dire che non abbiamo capito nulla. È esattamente quel sistema che crea forme di marginalizzazione che produce questo tipo di dinamiche. Quello che è successo è la dimostrazione concreta, evidente, del fatto che le rivendicazioni che portiamo avanti da anni siano sempre più urgenti, necessarie".

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