A 18 anni è una fatalità se mentre balli scivoli sulla pista in discoteca e ti fai un livido sulla chiappa destra.
A 18 anni è una fatalità se camminando per strada un piccione ti caca in testa.
A 18 anni è una fatalità essere nato senza gambe, ma non è una fatalità se le gambe ti vengono triturate da una lastra di metallo scivolata da un cavalletto, mentre sei in azienda durante uno stage gratuito con la scuola.
A 18 anni è una fatalità se mentre fai volare un aquilone, una folata di vento lo fa arrotolare.
A 18 anni è una fatalità se una gazza ladra ti porta via l'orologio, o ti colpisce un fulmine.
A 18 anni non è una fatalità essere costretto dalla scuola a lavorare in un'azienda come fossi un operaio con vent'anni di esperienza.
Li chiamano "crediti formativi", quelli per cui i ragazzi “fanno esperienza in azienda” in orario di scuola, ma non lo sono. Maggiore è il tempo scolastico che passi fuori dalla scuola e minore sarà la tua formazione, minore la tua capacità di ragionare sul cuore delle questioni.
Nella realtà i tuoi non sono crediti, ma tempo che lo Stato ti sottrae nel momento in cui preferisce consegnare manodopera gratuita a un'azienda piuttosto che formare menti libere, che poi pretenderebbero (ad esempio) piani di sicurezza elevati.
Gli incidenti sul lavoro non sono mai una fatalità, e mandare uno studente a fare uno stage in azienda è una scelta, inutile twittare dopo la sua morte “tragedia”, se tu sei responsabile di aver strappato dal banco un ragazzo (o una ragazza) e averlo mandato a manovrare lastre di metallo.
Per dirla semplice: noi non abbiamo bisogno di studenti che lavorano, il mondo ha bisogno di studenti che studiano e di lavoratori con buoni posti di lavoro.
La scuola non dovrebbe insegnare un lavoro. Lo so, è contro ogni retorica degli ultimi cinquant'anni, dove si è chiesto alla scuola di essere capace di preparare i suoi studenti a un mestiere. Io non voglio. La scuola deve formare le teste al ragionamento, non le braccia al lavoro fisico. Per quello c'è tempo una volta finita la scuola.
Intendiamoci: io non ho niente contro il lavoro fisico, però non è scuola. Come un panino al prosciutto non è un panino con la mortadella, oppure un pomodoro non è un’arancia anche se ci somiglia.
Se lavori, quello è lavoro. Se ti formano al lavoro, è lavoro pure quello. Se lo fai gratuitamente, sei sfruttato.
Se vieni pagato, se hai un contratto, quella dovrebbe essere la norma.
Ma perché la classe politica preferisce formare le braccia prima delle teste? Perché è più conveniente, quando la testa ragiona infatti è meno facile farsi sfruttare, più semplice organizzarsi, hai più capacità di chiedere sicurezza sul lavoro e adeguamenti salariali.
Giuliano aveva 18 anni e non è morto per una fatalità.
Giuliano è morto a causa di quello che faceva, probabilmente per un piano di sicurezza non rispettato. Giuliano è morto soprattutto perché qualcuno ha scelto un modello produttivo che non guarda le persone ma i bisogni del mercato.
Giuliano è stato sacrificato ai grandi numeri. Nella statistica dei sacrificabili, la vita di Giuliano dispiace tutti, ma per quasi tutti è ineluttabile che ogni tanto accada: “Se metti cinque persone a lavorare magari non succede niente, ma se ne metti mille ci sta che una o due non sopravvivano”.
Ma non fa orrore anche a voi questo ragionamento?
Tre morti di 18 anni al giorno in fabbrica, durante uno stage scolastico, non sarebbero (forse) tollerati.
Ma un Lorenzo Parelli morto a gennaio a Lunzanacco, anche lui di 18 anni, è considerato un numero che “ci può stare”.
Oppure un Giuseppe Lenoci a febbraio, lui aveva 16 ani.
Nel mezzo decine di feriti, e poi ieri Giuliano de Seta, morto a 18 anni anche lui per una non fatalità.
A 18 anni fatalità è l’imbarazzo delle prime volte in cui si fa l’amore.
A 18 anni fatalità è andare a vedere una partita di calcio a cui si tiene molto, ma la partita viene rinviata per temporale.
A 18 anni fatalità è fissare un appuntamento con la ragazza che ti piace, però ti viene l’herpes la mattina.
A 18 anni – e a nessuna età – è fatalità essere travolti da una lastra di metallo, mentre si presta il proprio lavoro gratuito per acquisire “crediti formativi” all’interno di una fabbrica.