A Napoli, una bambina di 12 anni è stata sfregiata al volto con un taglierino dal suo ex fidanzato di 16 anni in quello che, secondo quanto raccontato dalla stessa ragazza e dal legale dell’aggressore, si è trattato di un litigio per gelosia. È difficile rimanere indifferenti di fronte a questa notizia. Ci sembra impossibile che due ragazzi, poco più che bambini, siano coinvolti in questa vicenda di violenza di genere. Ci sembra impossibile perché ci illudiamo che la violenza sia qualcosa che esiste al di fuori della società, che comprendiamo solo nei termini della follia, dell’eccezione. E nella stessa maniera incapsuliamo bambini e ragazzi in una bolla, come se non facessero realmente parte del mondo reale e fossero immuni alle sue storture.
Ma la realtà è che se la violenza si può commettere a quaranta o a cinquanta anni, la si può commettere anche a sedici, perché non dipende dall’età o da quelli che ci siamo abituati a chiamare “raptus di gelosia”, ma dalla cultura del possesso di cui tutti facciamo parte e nei confronti della quale forse proprio nell’adolescenza siamo più vulnerabili. In quegli anni, come spiega la psicologa sociale Chiara Volpato nel libro Psicosociologia del maschilismo (Laterza, 2013), ragazzi e ragazze tendono a costruire la mascolinità e la femminilità adeguandosi al modello sociale, e i maschi, a differenza delle loro coetanee la cui femminilità si manifesta soprattutto nell’aspetto e nel corpo, si sentono in dovere di dimostrare la propria virilità attraverso le azioni. La gelosia e il possesso fanno parte dei codici canonici della mascolinità e vengono presentati come atteggiamenti desiderabili in una relazione, specie se vengono espressi durante l’adolescenza, periodo in cui gli eccessi vengono più facilmente compresi e perdonati. Questo rende la gelosia particolarmente pervasiva tra i giovani.
In uno studio sulla violenza di genere adolescenziale voluto dalla Commissione europea e condotto su cento ragazze di età compresa tra i 13 e i 16 anni, è emerso che c’è un certo grado di attrazione per i coetanei con atteggiamenti violenti, specie nelle relazioni a breve termine. La cultura di massa ci abitua a considerare normali o addirittura attrattivi questi comportamenti e a interpretarli come dimostrazioni di amore e se è già difficile per un adulto riuscire a liberarsi dell’ideale romantico basato sul possesso, per un ragazzo o una ragazza la cui emotività si sta sviluppando lo è ancora di più. Secondo un’indagine di Save the Children, il 48% delle ragazze tra i 14 e i 18 anni è esposto a contenuti online che giustificano la violenza contro le donne e il 41% di loro si è sentita offesa o umiliata in quanto donna per contenuti postati dai propri amici. I dati confermano che le adolescenti sono esposte a un rischio sempre maggiore di violenza nelle relazioni. Solo negli ultimi due anni sono morte per mano del partner o dei familiari undici donne con meno di 25 anni, tra cui Roberta Siragusa (17 anni), per il cui omicidio è indagato il fidanzato 19enne Pietro Morreale, e Chiara Gualzetti (16 anni), accoltellata da un coetaneo.
Leggere questi nomi e queste età spezza l’idealismo di cui ammantiamo l’adolescenza e ancora di più l’amore adolescenziale, svelando che la realtà della violenza non è confinata solo in ciò che non vogliamo vedere, ma è molto più diffusa di quanto pensiamo. Da questo meccanismo non si uscirà mai finché continueremo a ripeterci che saranno “l’educazione” o “la scuola”, evocate come se fossero formule taumaturgiche, a cambiare le cose. Soprattutto perché l’educazione di genere, all’affettività e alla sessualità nelle scuole non si fa. Non è prevista dai programmi ministeriali ed è spesso ostacolata da presidi e genitori in nome della libertà educativa. Quando nel 2015 la riforma della “Buona Scuola” introdusse nell'offerta formativa “l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”, il ministero dell’Istruzione fu travolto dalle critiche perché accusato di promuovere “l’ideologia gender” e fu costretto a inviare a tutte le scuole una nota informativa che spiegava che lo scopo di questi insegnamenti non era quello di introdurre “pratiche estranee al mondo educativo”. Ancora oggi quella nota e le relative linee guida vengono utilizzate per impedire di entrare nelle scuole ad associazioni, educatori e attivisti che si occupano di tematiche di genere e che vengono accusati di diffondere questa fantomatica ideologia.
Non possiamo continuare a trattare la violenza di genere come qualcosa che devono risolvere “le nuove generazioni”, intanto perché noi vecchie non stiamo dotando loro degli strumenti per riconoscerla, figuriamoci combatterla. Non possiamo permetterci il lusso di stupirci se un ragazzo di 16 anni sfregia la sua fidanzata, poco più che bambina. Non abbiamo fatto nulla per impedirglielo.