Se l’attentatore di Macerata fosse stato islamico
L’enciclopedia Treccani definisce così il concetto di terrorismo: “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili”. In che altro modo definire l’atto compiuto questa mattina da Luca Traini. Dopo averlo annunciato ieri il neofascista maceratese ha caricato di proiettili la sua pistola, ha indossato un abito nero, afferrato una bandiera italiana e si è messo al volante della sua Alfa Romeo. Poi, tenendo l’arma sul sedile accanto, ha individuato dei cittadini di colore, fermato la macchina, preso la mira e fatto fuoco. Così per sei volte, con freddezza e lucidità, seminando il terrore tra gli increduli testimoni che in questo sonnolento e grigio sabato mattina erano indaffarati nelle loro cose a Macerata.
“E’ un folle”, si è scritto da più parti. “E’ uno squilibrato mentale”, dicono in molti. La parola “fascista”, che pure lo identificherebbe alla perfezione, la utilizzano in pochi quasi per pudore, o per paura di evocare quello spettro del quale, nei bar come sui social network, in molti sembrano avere nostalgia. “Se ci fosse il fascismo… Ora sì che avremmo risolto i nostri problemi”.
Eppure sarebbe forse sufficiente soffermarsi a pensare: se Luca Traini anziché una pistola avesse imbracciato un Kalashnikov, se si fosse calato un passamontagna, se si fosse messo alla guida di un camion in mezzo a una folla. Ma soprattutto, se Luca Traini fosse stato un islamico, l’avremmo definito un folle, uno squilibrato, oppure l’aderente a un’organizzazione terroristica finalizzata – per l’appunto – a “destabilizzarne o restaurarne l’ordine”? Domanda retorica. Ciascuno di noi conosce la risposta: fosse stato islamico avremmo scavato nel suo passato, avremmo individuato il momento esatto della sua affiliazione all’Isis (ad esempio), avremmo cercato tra i suoi affetti fratelli, sorelle, mogli e genitori eventuali complici. Avremmo chiesto loro: “Perché non ci avete avvisati che stava preparando un attentato? Perché non ci avete detto che avrebbe sparato a sei esseri umani innocenti?”.
Invece no. Luca Traini è fascista, dunque può beneficiare della clemenza che in Italia – e chissà poi perché – si riconosce a quelli come lui. Sui social network si possono intitolare pagine in suo onore, aprire conti correnti per il sostegno delle spese legali, invocare (e ci mancherebbe altro…) un giusto processo, che tenga conto delle attenuanti e del contesto: “Traini era esasperato, è in corso un’invasione, va capito”. Invece Roberto Fiore, leader di Forza Nuova, può indisturbato esprimergli la sua solidarietà e quella dei camerati, “correi” come lui ma solo un tantino più prudenti, in attesa magari del momento più propizio. Invece Matteo Salvini – che lo scorso anno l’ha persino candidato con la Lega Nord – può parlare di quell’attentato terroristico come della conseguenza di “un'invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni”. Invece mentre scrivo nei covi dei neofascisti si stappano bottiglie e si brinda al nuovo eroe, al martire al quale – vedrete – prima o poi qualcuno chiederà venga reso pubblico onore. Di fronte all’attentato terroristico di matrice fascista compiuto da Luca Traini varranno attenuanti e giustificazioni. E pazienza per le vittime. In fondo non sono neanche morte (peccato, vero?).
Però tutto ciò non deve accadere. Il ministro dell’Interno Marco Minniti, così solerte nel suo mandato nel dichiarare guerra ai poveri e agli immigrati, mostri di avere un briciolo di coraggio. Lasci in pace i “vu cumprà”, i mendicanti, garantisca condizioni di vita dignitose agli ospiti dei centri d’accoglienza e metta mano all’unica minaccia per la sicurezza pubblica di questo paese: sciolga immediatamente le organizzazioni che si ispirano al fascismo.