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Se il presunto mafioso scrive al sindaco di Reggio Emilia

Pasquale Brescia, uno degli imputati nel maxi processo Aemilia che ha colpito la ‘ndrangheta in Emilia Romagna, scrive una lettera al sindaco di Reggio Emilia accusandolo di essersi dimenticato degli amici e di non avere difeso abbastanza i calabresi. Forse è un minaccia, certo, ma l’ignoranza della politica del nord sul tema non può essere più tollerata. E in Emilia è stata di casa.
A cura di Giulio Cavalli
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Pasquale Brescia ha 48 anni e da un anno è rinchiuso nel carcere di Bologna con l'accusa di essere mafioso. Anche lui, residente a Reggio Emilia, è finito tra gli arrestati della maxi operazione contro la ‘ndrangheta Aemilia che ha colpito il clan Grande Aracri, cutresi che hanno invaso l'Emilia trovando un terreno fertilissimo. Brescia ha scritto una lettera dal carcere indirizzata a Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, successore di Graziano Delrio approdato a Roma alla corte di Renzi, e finito proprio poco tempo fa nell'occhio del ciclone per l'inopportuno impiego di imprenditori in odor di mafia nella costruzione della propria abitazione.

«Lei è fortunato» scrive Brescia per il sindaco in una lettera spedita a il Resto del Carlino «Solo dopo attacchi alla moglie difende i cutresi? Si dimetta, lei è intellettualmente disonesto» facendo riferimento a presunte parentele pericolose della moglie del sindaco, Maria Sergio, anche lei originaria di Cutro. Secondo Pasquale Brescia infatti il sindaco di Reggio Emilia avrebbe lasciato indifesi i  "cutresi" prendendo posizione solo per difendere la moglie, un atteggiamento che contrasterebbe l'atteggiamento tenuto in campagna elettorale («Si ricorda quali mani ha stretto?», scrive) e dimenticando come al funerale del "suocero" fossero presenti «tanti altri imputati del processo Aemilia». Infine Brescia ricorda come l'ex sindaco Delrio abbia tenuto un atteggiamento completamente diverso andando dal «Prefetto per difendere l'onore dei cittadini di Cutro»

La missiva ha scatenato il panico, con forze dell'ordine che hanno subito raggiunto il municipio e la Prefettura che sta valutando eventuali dispositivi di sicurezza per il primo cittadino. E lui, il sindaco Vecchi, ha subito rilasciato una dichiarazione parlando di normale preoccupazione ma ferma convinzione ad andare avanti nell'impegno contro la criminalità organizzata. E fin qui tutto bene. Con un però: il sindaco parla di "maturità e consapevolezza" nell'affrontare la sfida alle mafie. Appunto.

Già nelle carte dell'operazione Aemilia c'era scritto a chiare lettere quanto la politica emiliana si fosse dimostrata impreparata nello scorgere la pericolosità e la pervasività delle mafie. Lo stesso episodio ricordato nella lettera del presunto mafioso (cioè Delrio che prestò il fianco ad una lamentela contro la Prefettura per un presunto accanimento nello stanare le aziende calabresi di Reggio Emilia) è l'esempio più fulgido di un atteggiamento, in completa buona fede, che dimostra quanto la sottovalutazione del fenomeno mafioso sia il miglior regalo che si possa fare ai clan. Sull'operazione Aemilia è normale che non regga la storiella del partito (al governo da sempre) che ha fatto tutto ciò che si poteva fare: il centrosinistra, in Emilia Romagna, ha avuto le stesse debolezze che hanno favorito l'ingresso delle mafie nel resto d'Italia. Punto. Sentire parlare di "maturità e consapevolezza" da un amministratore che ha incautamente affidato alcuni lavori privati ad aziende in odor di mafia è patetico e mistificatore.

Visto lo stato d'emergenza bisognerebbe trovare un accordo: un amministratore che non si accorge della mafia è colluso o inetto. Di sicuro incapace di essere classe dirigente.

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