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Opinioni

Se fosse nato in Italia, la vita di Fin sarebbe stata molto più infelice

Fin è il figlio transgender di Ben Affleck e Jennifer Garner, e oggi in Italia non potrebbe vivere. L’Italia non è un Paese per persone, ma per dogmi. E il nostro è il Governo più interessato di sempre ai genitali dei bambini.
A cura di Saverio Tommasi
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L'Italia non è un Paese per persone, ma per dogmi. Stanno utilizzando l'infelicità degli altri come base per la costruzione di una società fondata su assiomi: i loro. L'obiettivo, invero non così distante, è uno Stato non più laico ma integralista, che al confronto la Democrazia Cristiana era libertina.

Esagero, penserete. Purtroppo no.

In Italia la carriera alias nelle scuole è ostacolata da ricorsi e proteste delle associazioni ProVita, che fanno da sponda al Governo, giocando a calcetto con l'autodeterminazione ed esultando per ogni sgambetto riuscito alla libertà. Si rimpallano le vite degli altri, ogni volta un calcio, ogni volta consumandone un pezzo. A fine 2023 la prima diffida di massa, da parte delle associazioni ProVita – a 150 scuole pubbliche – perché non riconoscessero la carriera alias al loro interno.
In altre parole: in Italia il nome con cui essere chiamati non possono deciderlo i ragazzini, o le ragazzine, il senso è questo. L'inviolabilità del nome, in Italia, è violata da chi decide per qualcun altro, obbligando i più giovani a rispondere anche quando sentiranno un nome che non gli appartiene.

Non può essere un caso che già nel 2014 una ricerca condotta dal team di Alessandra Fisher, endocrinologa presso l’azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze, ci aveva consegnato un dato: in Italia il 43% degli studenti e studentesse transgender dai 12 ai 18 anni abbandona la scuola prima del tempo. Perché chi non viene accettato, se ne va. È molto semplice.

Da allora la situazione in Italia è peggiorata. Oggi il cambio anagrafico del nome viene posticipato, al limite dell'impedimento, con un attuale e sostanziale blocco delle rettifiche anagrafiche.
Insomma: in Italia, la tua identità, non lo decidi tu. Lo stabiliscono gli altri.

Faccio un passo indietro: il figlio di Ben Affleck e Jennifer Garner, quindici anni, si è presentato al funerale del nonno e in Chiesa ha detto per la prima volta di fronte a tutti: "Ciao, sono Fin", e poi ha proseguito leggendo un verso della Bibbia, in ricordo del nonno. Da allora è Fin per tutti, anche a scuola, dove già da qualche giorno aveva scritto sul suo zaino: "Fin". I giornali ne hanno scritto ma in genere, chiunque, ne ha preso semplicemente atto, nessuno ha avanzato pubbliche ipotesi sul fatto che Fin fosse indemoniato, o che Ben Affleck gli avesse fatto il lavaggio del cervello, o che la felicità di Fin fosse un pregiudizio per la prosecuzione della specie umana.

Fin, fosse nato in Italia, non sarebbe potuto essere se stesso. Sarebbe stata condannata la scuola per avergli riconosciuto la carriera alias, e i genitori per come lo hanno educato. Sarebbe stato deriso per come si veste ("un maschiaccio!" sembra già di sentire gli strali dei vedovi dell'Inquisizione), e per quello che dice. In Italia avrebbero organizzato dei dibattiti in TV: "È giusto essere se stessi?" senza provare vergogna anche soltanto per la domanda.

In Italia Fin sarebbe dovuto essere qualcun altro, o avrebbe dovuto lottare con i denti per essere se stesso, senza probabilmente riuscirci del tutto e andando all'estero perché gli prescrivessero i farmaci corretti per il suo sviluppo.

In Italia abbiamo un Governo che usa la lente di ingrandimento sui genitali dei bambini (e delle bambine), e in base a quelli decide la vita che dovranno vivere. Abbiamo un Maurizio Gasparri che dà lezioni di moralità e poi offende le mamme di chi lo contesta su Twitter. La premier Giorgia Meloni che parla di "maschile e femminile radicati nei corpi, dato incontrovertibile", e poi chiede ai giornalisti di essere chiamata al maschile, limitatamente alle cariche che ricopre e non perché si senta maschio, ma come una specie di ripicca contro le persone transgender.
La ratio della premier, se c'è, è ben nascosta.

In Italia abbiamo un Governo perverso, che usa un cicciotto di carne del peso approssimativo di dieci grammi come fosse una clava, e come se fosse suo. La presenza o l'assenza del pene è diventata, per questo Governo, il metro per cui sarai costretto per tutta la vita a chiamarti in un certo modo e non potrai cambiare; dovrai vestirti in un certo modo per essere ritenuto "adeguato". Dovrai usare un certo tono di voce per non essere considerato un caso di salute mentale, psichiatrizzato e incolpato per quello che senti.
Comprendete la perversione? Una singola protuberanza carnale di dieci grammi per attribuirti un range di pettinature dal quale scegliere, di cappelli da indossare, di colori da abbinare, con l'obbligo di adeguarti – quando sarai cresciuto – a modelli di famiglia di cent'anni fa, spacciati per universali.

In Italia il Governo è interessato agli organi genitali come mai nessuno prima d'ora. Richiama gli ospedali per l'utilizzo della triptorelina, il farmaco che sospende lo sviluppo puberale nelle persone transgender. Esulta mentre una ragazzina in camera piange perché senza triptorelina non può fermare il suo sviluppo puberale, e si vede crescere la barba. Esulta, il Governo, mentre a un ragazzino crescono le tette perché senza triptorelina, accade anche questo. È un Governo che non soltanto guarda dal buco della serratura, ma si diverte a modificare le azioni dentro la stanza.

E alla fine non è un caso che l'Italia, secondo l’organizzazione internazionale Tgeu, insieme alla Turchia, rappresenti i due Paesi dell’area europea in cui si registrano ogni anno più omicidi di persone trans.

Al Governo italiano, così attento alla salute delle persone trans, non importa parlare con i genitori delle persone trans, con gli insegnanti, con i medici e le dottoresse. Ci pensa Maurizio Gasparri a rappresentare tutti, anche se afferma il contrario di tutti loro messi insieme.

Come è scivolata, l'Italia, così indietro?
L'attuale Governo ha iniziato anni fa, dall'opposizione, modificando la percezione del significato delle parole, ad esempio inventando la dizione "ideologia gender". Ve la ricordate questa espressione? Era già chiaro che non esistesse nessuna ideologia, se non quella – politica e religiosa, appunto ideologica – da parte di chi nega alle persone il diritto di vivere come meglio si sentono. Eppure "ideologia gender", secondo loro, sarebbe stata quella delle persone trans. Una richiesta di libertà eccessiva, ideologica. Tanti soldi in questa propaganda hanno funzionato, e le persone hanno smesso di indignarsi a voce alta rispetto a questa espressione, che è entrata in tv, e poi nel lessico.
È stata dall'inizio una guerra che è partita dalle parole, si parte sempre da lì. Pensateci: le associazione che si battono contro la vita delle persone transgender si chiamano "ProVita". Capite l'assurdo? Come se io mi chiamassi "Tutela dei volatili" e rappresentassi i cacciatori di frodo. Come avessi giurato sulla Costituzione antifascista però non volessi definirmi antifascista. Assurdo, vero?

Attenzione: l'odio è fratello d'odio, lo chiama a raccolta. Non esiste una società in cui qualcuno è discriminato però gli altri sono veramente liberi. Lottare per i diritti degli altri è (anche) un meraviglioso atto d'egoismo, perché significa lottare anche per noi, per quello che siamo e per la nostra libertà di affermarlo, oggi e domani.

Fin, oggi in Italia, non potrebbe vivere. Ma non è scritto da nessuna parte che non sia possibile preparargli il terreno per le migliori vancanze possibili, domani.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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