Il Partito Democratico, il glorioso partito della grande potenza mondiale, è molto più vicino di quello che crediamo: imbolsito nel tentativo di rassicurare tutti (le lobby e i disoccupati, come se davvero si potesse fare contemporaneamente), ancorato al "voto utile del meno peggio" (che sistematicamente apre la strada al peggio) e soprattutto sempre più incapace di cogliere i bisogni degli elettori impegnata com'è ad accontentare i finanziatori.
Il democratico appuntito Sanders, sconfitto alle primarie democratiche dalla Clinton, era stato bocciato senza appello da gran parte della stampa e degli analisti politici: "non si deve votare Sanders perché sarebbe un cavallo perdente alle elezioni" ci hanno detto. E poi la Clinton ha perso.
«Insistere sulle grandi banche oggi vuol dire mancare l’obiettivo» scriveva Paul Krugman, editorialista del NY Times e premio Nobel per l'economia: «nelle poche occasioni in cui gli sono stati chiesti dettagli, Sanders non è sembrato riuscire a dire di più sulla sua proposta. E l’assenza di sostanza dietro gli slogan sembra riguardare tutte le sue posizioni». Insomma; ci insegnavano che contro i grossi poteri finanziari si dovesse rimanere nei limiti della cortesia istituzionale per non rischiare di irritarli. Ha funzionato? Chissà che ne dice Krugman.
«Non deve spaccare il partito» dicevano a Sanders. La voce che circolava tra i maggiorenti democratici era che la candidatura di Sanders fosse contro il "bene del partito" oltre che contro la Clinton. Vi ricorda qualcosa? Bene, forse sarebbe il caso appuntarsi che dello stato di salute dei partiti non se ne preoccupano in molti. Un candidato non ha il compito di preservare l'apparato politico che lo sostiene: i risultati politici in giro per il mondo premiano chi alza la voce contro le disfunzioni e i loro responsabili. Il Partito Democratico non è riuscito a proporre un candidato migliore di un Segretario di Stato da tempo sulla scena politica. Ha funzionato? A voi il giudizio.
Sempre il NY Times sottolineava come Sanders avesse «dato voce alle preoccupazioni di milioni di giovani, molti dei quali elettori per la prima volta, e li abbia caricati di energia». Scriveva il quotidiano che «la sua candidatura ha costretto il partito ad andare più a fondo nell’affrontare temi come la l’ineguaglianza economica, i costi delle tasse e delle rette universitarie, il pedaggio da pagare alla globalizzazione» sottolineando «l’impegno profuso perché la campagna fosse finanziata con piccoli contributi individuali», cosa che ha sgombrato il campo dalla «scusa» dei democratici, secondo cui «anche loro, per vincere, devono cercarsi grossi finanziamenti».
Poi i finanziamenti per la campagna elettorale: Sanders è riuscito a racimolare un'inaspettato appoggio economico per la sua campagna alle primarie democratiche grazie a numerosi micropagamenti di un alto numero di sostenitori mentre la Clinton ha preferito affidarsi a macrodonazioni da lobby spesso discusse (Goldman Sachs ha donato 600.000 dollari, per dire): il populismo (perché sì, anche Sanders è stato accusato di essere populista) nella sua accezione di vicinanza al popolo è la strumentalizzazione dell'establishment che lavora sotto traccia per la preservazione dell'esistente. E l'esistente è considerato dalla maggior parte dei cittadini (USA inclusi) come prima causa della crisi.
Siamo sicuri che con Sanders sarebbe andata così?