Cassintegrato Fiat da 6 anni, fa lo sciopero della fame: “Mi hanno tolto la dignità”
Giovedì scorso ha smesso di mangiare e da allora non tocca cibo né acqua, rifiutando perfino i farmaci per il diabete e per la patologia cardiovascolare di cui soffre. È la storia di Antonio Frosolone, un operaio di 49 anni della Fiat di Nola, da sei, cassintegrato. Da sei giorni ormai Antonio ha inscenato uno sciopero della fame a oltranza per attirare l'attenzione sulla condizione disperata che da troppi anni non vede evoluzioni. "Mi hanno tolto ogni dignità", ha detto.
Dal 2008 Antonio è ormai inattivo, da quando è stato trasferito – insieme ad altri 316 operai della fabbrica di Pomigliano d'Arco, anche loro in cassa integrazione – al nuovo reparto Wcl, detto anche "reparto confino", che, come dicono, non è mai decollato. Esasperato dall'immobilità di quella cassa integrazione a zero ore, Antonio meditava da tempo questo gesto di estrema contestazione. Ha scelto di ritirarsi presso la sua abitazione di Mondragone, in provincia di Napoli, dove da giorni porta avanti la sua protesta. Non risponde al telefono, non vuole vedere nessuno, ma soprattutto respinge qualsiasi preghiera a terminare lo sciopero della fame e a riprendere la terapia farmacologica interrotta, la cui sospensione potrebbe costargli cara. Le ultime notizie risalgono al weekend: sabato due colleghi sono passati a trovarlo per convincerlo a farsi portare in ospedale, ma hanno trovato Antonio irremovibile. Domenica, invece, l'ultimo post su Facebook, in cui l'operaio annunciava di cominciare a sentirsi male. «Oggi – ha scritto Antonio- inizia il terzo giorno di digiuno (cibo e acqua) e di sospensione di tutte le mie cure farmacologiche. Comincio ad avvertire dei disturbi, assenza di forza e dolori articolari. Ringrazio gli amici e i carabinieri che mi sono venuti a trovare. Ma io continuo. Vi terrò aggiornati, finché ci riuscirò».
L'ex operaio di Pomigliano divide la sorte di molti altri lavoratori trasferiti dall'impianto automobilistico al Wcl. Una condanna quasi, quella del trasferimento al "reparto confino", che ha visto già due suicidi di cassintegrati: Pino del Crescenzo (44 anni) si è impiccato nella sua casa di Afragola, Maria Baratto, (47 anni) si è uccisa accoltellandosi da sola, più volte, nella sua abitazione di Acerra,