Sanam Shirvani, donna libera solo se lontana dall’Iran: “Per una ragazza non è il posto giusto”
Sanam vive nella periferia nord e ogni giorno prende il bus per andare a lavorare in uno studio di progettazione nel centro di Torino. Il freddo in città non molla ancora, si esce all'alba e si rientra col buio, complici le giornate brevissime. Sotto il cappello e la sciarpa spuntano i suoi lunghi capelli castani.
È per una cosa così, per un velo messo male, per dei capelli in bella vista, che il 16 settembre 2022 in Iran Mahsa Amini è stata picchiata ed è morta in ospedale, una vicenda che ha scatenato lunghe proteste nel paese e la reazione dei vertici della teocrazia iraniana. "Io ho 36 anni adesso – racconta Sanam Shirvani a Fanpage.it – e ai miei tempi le cose erano anche peggiori. Adesso in Iran si può andare a scuola con vesti colorate, quando andavo io eravamo obbligate a vestirci completamente di nero. Se qualcuno ha avuto l'impressione che negli ultimi anni le cose fossero migliorate, si sbagliava".
"In strada qui in Italia non mi guarda nessuno – prosegue Sanam – nessuno è interessato a cosa faccio, al perché io sono qui. Non ho bisogno dell'autorizzazione di mio padre o di mio marito per fare quello che voglio". E quello che Sanam voleva, fin da bambina, era giocare a pallone su un rettangolo verde.
Suo padre e i suoi fratelli, grandi appassionati di calcio, le hanno trasmesso la passione per questo sport, che Sanam ha potuto guardare soltanto in tv grazie alla parabola clandestina della sua famiglia, con la quale si sintonizzavano sulle partite di calcio dei club europei. "Venivano a cercare anche le antenne sui tetti, perché è contro la legge guardare canali televisivi stranieri – ricorda lei – e grazie alla parabola l'Italia in Iran è molto popolare, soprattutto grazie al calcio".
Per una donna iraniana, il desiderio di calcare con le scarpette un campo da calcio non è realizzabile, nemmeno se sei una bambina. L'unica occasione in cui è stata portata allo stadio, spiega "era quando avevo sei o sette anni, ci sono andata con mio padre e mio fratello, nello stadio di Rasht. Anche se non era una partita importante, è stato bellissimo sentire l'atmosfera".
Quella è stata la prima e l'ultima volta di Sanam allo stadio. A 9 anni, per una bambina iraniana, cambia tutto. "Ci hanno portato con un pullman, eravamo una ventina di bambine – racconta – e lì un Imam ci ha fatto una cerimonia, per l'ingresso nell'età adulta. È una cosa religiosa, però è obbligatoria. Da allora ho dovuto portare il velo e un vestito tradizionale dentro e fuori dalla scuola, tutto nero".
"Io non lo sapevo, ma ero dentro una bolla come un pesce rosso. Il pesce magari sta bene dentro quel piccolo spazio, ma non sa niente di come si sta fuori, non sa nemmeno cosa vuol dire il mare". Sanam mentre parla ogni tanto si scoraggia, non tanto per i ricordi che affiorano, quanto per il rimpianto.
"Venivano a scuola, quando ero adolescente – spiega – senza preavviso. La docente veniva invitata a uscire, poi ci chiedevano di mettere i nostri zaini sul banco e li perquisivano. Se ti trovavano uno specchio erano guai, se peggio ancora trovavano un segno, un nome o un numero di telefono di un maschio sul tuo diario era ancora peggio. Volevano sapere tutto, chiedevano perché, mettevano in mezzo le famiglie. In Iran è tutto così. Alcune mie compagne di classe, quando capivano in tempo che stava arrivando un controllo, buttavano il diario fuori dalla finestra e lo andavano a recuperare all'uscita della scuola. Io un diario segreto non ce l'ho mai avuto, avevo troppa paura".
"A volte penso a come sarebbe potuto essere se quando avevo 18 anni avessi avuto la libertà di innamorarmi di un ragazzo, di stare con lui, di sperimentare queste sensazioni quando sono più intense, durante l'adolescenza. A me chi me li restituisce i miei 18 anni, adesso che ho capito cosa mi sono perduta?"
Rasht è una città nel nord dell'Iran, si affaccia sul Mar Caspio e dista un centinaio di chilometri dall'Azerbaijan. Da lì parte Sanam, a 26 anni, senza sapere la lingua italiana, in direzione Torino. La attende un percorso di studi difficile, che la porta ad ottenere una laurea: "Non sapevo la lingua, non capivo niente e dovevo studiare moltissimo, dopo un anno volevo tornare ma meno male che non l'ho fatto, me ne sarei pentita. Soltanto dopo ho capito esattamente che cosa è l'Iran, dopo che ho visto che cosa siete voi, così free, così liberi".
In Italia Sanam, oltre a essersi trovata un lavoro e vivere da sola, cose per le quali avrebbe dovuto avere l'autorizzazione di un uomo se fosse rimasta in Iran, è riuscita almeno in parte a coronare il suo sogno di scendere in campo per giocare a calcio. Da 4 anni è arbitro della FIGC e dirige molte gare sia delle categorie giovanili che di quelle degli adulti.
"Una delle prime cose che ho fatto quando sono venuta in Italia è stato andare allo stadio – racconta con un sorriso Sanam – e sono andata a vedere Juventus-Lione, però non sono riuscita a scendere in campo come giocatrice, tra le difficoltà della lingua e lo studio alla fine quando ero pronta ero già fuori età. Però dopo che sono diventata arbitro ho capito che forse è meglio così, perché quando arbitro io corro con loro, mi emoziono con loro e vivo tantissime partite. Adesso non ho più bisogno di sognare di guardare una partita allo stadio, adesso io sono in campo tutte le settimane".
Sono 5 anni che Sanam non torna a casa. "Ogni volta che possono mi chiamano i miei genitori, mio fratello, ma non succede spesso perché Internet è molto limitata. Se avessi saputo cosa c'era oltre la bolla che hanno costruito per me, sarei venuta prima, a 18 anni dopo il diploma. Adesso come adesso, per una ragazza, ma anche per un ragazzo che studia e che capisce, l'Iran non è il posto giusto. Io non posso tornare fino a quando il clima sarà questo, e poi tornare per fare cosa? Per chiedere il permesso a un uomo? Per essere trattata come meno di un essere umano? Lo sai che in Iran se sei donna le assicurazioni contro gli incidenti pagano i danni solo per metà? Che una donna non può diventare presidente? Ma chi ha scritto queste regole? Perché?".