Saman, il fidanzato: “Aveva paura, mi disse di chiamare il 112 se non l’avessi sentita per 2 giorni”
"Saman mi disse che aveva paura e che, se non l'avessi sentita due o tre giorni, avrei dovuto chiamare i carabinieri. Cosa che poi feci il 4 maggio del 2021". Così Saqib Ayub ha parlato oggi nell'aula della Corte d'Assise di Reggio Emilia nell'ambito del processo sull'omicidio di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa a maggio del 2021 e trovata cadavere lo scorso novembre nei pressi di un casolare di Novellara.
Nel corso della deposizione che si è svolta oggi, la presidente della Corte d'Assise di Reggio Emilia, Cristina Beretti, ha invitato il giovane a parlare in italiano viste le difficoltà di traduzione dal pakistano da parte dell'interprete che lo affiancava. E Saqib non ha mostrato titubanze.
"Saman mi disse che suo padre era stato il mandante di un omicidio i cui esecutori erano stati due suoi parenti e un africano che poi erano finiti in galera", ha ricordato, una circostanza già emersa in precedenza sulla quale poi non erano stati trovati riscontri. "L'ultima volta che l'ho sentita era preoccupata – ha aggiunto -. Mi disse che sua madre girava per la stanza". Ha anche ricordato che una volte ricevette "una chiamata di minacce dal profilo Instagram della madre Nazia da parte di un uomo che, secondo Saman, era suo zio Danish".
Saqib: "Ho conosciuto Saman su Tik Tok"
Saqib ha anche ripercorso in aula "i nove giorni vissuti insieme a Roma" quando decisero di sposarsi. Il giovane ha spiegato di averla conosciuta su Tik Tok nel gennaio del 2021 e di averla vista in Polonia una prima volta e poi "altre quattro volte tra Bologna e Roma, solo una prima volta con l'autorizzazione poi no perché la comunità non le dava il permesso di uscire".
Nell'aprile del 2021, ha continuato Ayub, "Saman venne a Roma. Le dissi io di venire perché lavoravo lì. Trascorremmo insieme nove giorni durante i quali decidemmo di sposarci. Prima ne parlavamo solo, a Roma prendemmo la decisione. Io comprai il mio abito da sposo e chiesi a mia madre di far arrivare dal Pakistan quello per lei".
Rispondendo alle domande dell'avvocato Mariagrazia Petrelli, che difende uno dei cugini imputati, Ayub ha affermato di avere mandato dei messaggi al telefono di Saman in cui le chiedeva dove fosse, durante i giorni passati insieme a Roma, per mostrare alla comunità che la stava cercando e che la fidanzata non era con lei. "Volevamo sposarci in fretta perché altrimenti sarebbe tornata in comunità e sarebbe stato difficile farlo ma lei doveva recuperare il passaporto, un documento necessario per le nozze. Decidemmo insieme che lei doveva tornare a casa per recuperarlo".
Il padre Shabbar non parla in aula al processo
Sempre oggi era previsto davanti alla Corte d'Assise di Reggio Emilia l'esame di Shabbar Abbas, padre di Saman e imputato nel processo insieme al fratello Hasnain Danish, ai nipoti Nomanulhaq Nomanulhaq e Ijaz Ikra, e alla moglie Nazia Shaheen, unica al momento ancora latitante.
L'uomo però ha scelto di non parlare. "Una scelta tecnica – ha motivato il suo difensore Enrico Della Capanna – probabilmente rilascerà spontanee dichiarazioni in aula dopo che avrà sentito la testimonianza del figlio". Il fratello di Saman – da poco diventato maggiorenne, che vive in una comunità protetta – verrà infatti ascoltato nelle prossime udienze. È considerato il teste chiave dell'accusa e ha sempre indicato come esecutore materiale del delitto lo zio Danish Hasnain.