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Omicidio Saman Abbas

Saman Abbas, il fratello piange e parla in aula: “Mio cugino mi disse che era sotto terra, sto male”

Il fratello minore di Saman Abbas, considerato finora un testimone chiave del processo relativo alla more della 18enne pakistana in cui sono imputati cinque familiari, ha parlato in aula a Reggio Emilia: “Voglio dire tutta le verità. Ho mentito perché avevo paura di mio padre”.
A cura di Ida Artiaco
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"Voglio parlare, voglio dire tutta la verità". Con queste parole è cominciata l'udienza oggi presso la corte d'Assise di Reggio Emilia del fratello minore di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa nel 2021 e trovata cadavere circa un anno fa nei pressi di un casolare a Novellara.

Il ragazzo, che all'epoca della sparizione della sorella era ancora minorenne ed è stato considerato un testimone chiave del processo per la morte di Saman, ha così deciso di rispondere alle domande in aula dopo l'ordinanza della Corte di assise reggiana che aveva dichiarato inutilizzabili le sue dichiarazioni rilasciate in precedenza, tra maggio e giugno 2021, perché, secondo i giudici, doveva essere iscritto nel registro degli indagati.

Saman Abbas
Saman Abbas

Si ricordi che gli imputati sono cinque familiari: i genitori dei due ragazzi, il padre Shabbar e la madre Nazia, unica ancora latitante, lo zio Danish e due cugini. T-shirt nera, pantaloni grigi, il giovane, assistito dall'avvocato Valeria Miari, il ragazzo ha cominciato affermando di voler raccontare tutta la verità su quanto successo alla sorella.

Alla domanda: "Qualcuno ti aveva detto che Saman era stata seppellita?", la risposta è stata affermativa. "Me l'aveva detto Noman, gli avevo chiesto io, perché volevo abbracciare mia sorella. Ma l'ho chiesto anche allo zio, prima di partire per Imperia", riferendosi al cugino, Nomanhulaq Nomanhulaq e allo zio Danish Hasnain, entrambi imputati per l'omicidio della ragazza.

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Nei giorni successivi alla scomparsa di Saman, nel maggio del 2021, il giovane partì per la Liguria, insieme allo zio, ma venne fermato ad un controllo e portato in una comunità per i minorenni, all'epoca era sedicenne. Lo zio invece lasciò l'Italia e venne rintracciato in seguito, mesi dopo, in Francia. "E perché di questo, ha domandato l'avvocato di Nomanhulaq, non parlasti negli interrogatori al pm e ai carabinieri?". La risposta del giovane è stata: "Perché non mi dissero di preciso dov'era, solo che era sotto terra. E sempre per la questione di mio papà, avevo paura di lui".

Dunque, il giovane avrebbe detto bugie per paura di Shabbar. Quando in passato affermò che i suoi cugini non c'entravano nulla "ho detto una bugia perché mio padre mi disse di farlo, mi ha detto di non dire niente. Io da piccolo avevo paura di mio padre e di mio zio. Quando sono andato dall'altro giudice, ho detto che non hanno fatto niente, ero costretto da mio padre". Quando avvenne? "Non lo ricordo. Ma prima e dopo mi hanno chiamato e detto di non dire niente dei cugini".

Poi, alla ripresa dell'udienza dopo una pausa nel pomeriggio, il ragazzo è scoppiato in lacrime davanti ai video proiettati in aula in cui compare anche la sorella. "Mi fanno male", ha detto. "Questo è comprensibile, ma entra tutto in gioco nella tua testimonianza, ti abbiamo dato gli avvisi di legge", ha replicato la presidente della Corte Critina Beretti, chiedendo al ragazzo se intende andare avanti a rispondere. Dopo un'altra riflessione, il giovane ha acconsentito a proseguire nell'audizione.

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