Saman Abbas, il fratello torna in aula: “Ero come loro, ora mi sento italiano. Volevo uccidermi”
È tornato nell'aula della Corte d'Assise di Reggio Emilia il fratello di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa all'inizio di maggio 2021 e trovata cadavere lo scorso novembre nei pressi di un casolare di Novellara. Il giovane, che all'epoca dei fatti era minorenne, è da sempre considerato il testimone chiave nel processo sull'omicidio della ragazza che vede imputati il padre Shabbar, la madre Nazia, al momento latitante, lo zio Hasnain Danish, e i due cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ijaz Ikra.
Dopo la prima udienza, tenutasi il 31 ottobre, il fratello di Saman è tornato sul banco dei testimoni. Il ragazzo ha cominciato a rispondere alle domande di Liborio Cataliotti, avvocato difensore di Nomanulhaq, il quale gli ha mostrato i selfie che sarebbero stati scattati con lo zio Danish, da lui accusato di aver "preso per il collo" Saman per poi portarla nelle serre, all'indomani della partenza dei genitori per il Pakistan, il 2 maggio 2021.
La telefonata tra Shabbar e Danish dopo la scomparsa di Saman
Secondo il racconto del ragazzo, il padre di Saman, in Pakistan, e lo zio rimasto in Italia, si sentirono al telefono, i primi di giorni di maggio 2021, dopo la scomparsa della ragazza di Novellara. La telefonata in questione avvenne dopo una perquisizione, con il sequestro dei telefoni. "Mio zio disse: adesso noi scappiamo, perché ci hanno preso i telefoni, si sono accorti. Ma papà – ha aggiunto il giovane testimone – disse: dovete stare lì, perché altrimenti penseranno che è davvero successo qualcosa. Ma mio zio rispose: Non possiamo stare qui, tu sei scappato in Pakistan, non hai problemi. Se prendono qualcuno, prendono noi".
A quel punto il fratello di Saman partì insieme allo zio: in bicicletta verso Gonzaga, poi in treno per Modena, quindi Como, dove passarono la notte a casa di un conoscente. Poi in viaggio per Imperia prima di ritrovarsi anche con i due cugini imputati dove furono controllati e il ragazzo, all'epoca minorenne, fu portato in Questura e poi trasferito in una comunità. Lo zio invece riuscì a lasciare l'Italia insieme ai cugini e i tre furono arrestati nei mesi successivi tra Francia e Spagna.
La foto di Saman e Saqib
Il fratello di Saman ha poi riferito di essere stato lui a mostrare ai genitori la foto della ragazza insieme al fidanzato Saqib. "La mia cultura – ha spiegato – è la stessa dei miei genitori. Sono cresciuto in quella cultura, da piccolo mi hanno insegnato che nemmeno potevo fare amicizia con le ragazze perché era vietato, per questo mandai ai miei parenti la foto del bacio tra Saman e Saqib, perché per me in quel momento era una cosa sbagliata".
Ma, ha aggiunto il ragazzo, "per come sono ora, da quando sono in comunità, è tutto cambiato. Oggi mi sento italiano. Per me hanno fatto una cosa sbagliatissima", ha precisato rispondendo alla domanda sul perché inviò ai propri familiari la foto della sorella che baciava il fidanzato.
Chi sono "il cane e il cane coi baffi"
Nella testimonianza del fratello di Saman ritornano ancora i riferimenti ai due parenti, non imputati, che nelle intercettazioni lui stesso definisce "il cane e il cane coi baffi". Si tratta di due parenti pachistani, Irfan e Fakhar, che frequentavano la casa di Abbas a Novellara e venivano a dare "consigli brutti" su Saman, ha ribadito il fratello, come già detto nella scorsa udienza.
"Per me quei parenti sono più colpevoli di Noman e Ikram, che hanno fatto questa cosa per rispetto, hanno aiutato lo zio", ha aggiunto in un altro passaggio il 18enne. "Avevi motivi di rabbia verso Irfan e Fakhar?", ha chiesto l'avvocato Cataliotti. "Con Irfan sì, perché quando veniva a casa nostra guardava male mia sorella, la guardava con cattive intenzioni", ha replicato il giovane.
Al temine dell'udienza, il ragazzo ha dichiarato: "Da quando è successa questa roba, ho tenuto tutto dentro di me, ogni giorno soffro e mi voglio liberare. La notte non riesco a dormire. In camera mia ho attaccato le foto di mia sorella e, quando le guardo sbatto la testa contro il muro. So che se adesso dico tutte le cose come stanno, mi libero un po'. Questa cosa me la porterò dietro tutta la vita, ma se c'è qualcosa che mi può aiutare è sfogarsi, parlando, dire le cose come sono andate e come è successo. E per la giustizia di mia sorella". Infine, ha confessato: "Ho provato a farmi del male, in comunità ho bevuto del profumo, volevo uccidermi. Ero rimasto da solo".