Salmaso sulla pandemia di Covid in Italia: “Situazione non buona, ancora troppi casi e ricoveri”
"È vero che la curva dei contagi tende leggermente a scendere e su questo possiamo essere relativamente ottimisti, ma ciò non vuol dire che siamo in una situazione buona, anche e soprattutto se guardiamo al numero dei decessi e dei ricoveri in area medica". Così Stefania Salmaso, membro dell’Associazione Italiana di Epidemiologia che ha diretto a lungo il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della Salute dell'Istituto superiore di sanità (Iss), ha spiegato a Fanpage.it perché in Italia la pandemia di Covid-19 sta rallentando ma non si può abbassare la guardia, dati alla mano.
Dott.ssa Salmaso, a che punto siamo con la pandemia?
"In questo momento l'andamento delle infezioni è in leggera diminuzione e il famoso indice Rt, di trasmissibilità del virus, che ogni volta ci dice l'accelerazione con cui si muove la curva, è inferiore a 1. Ma se abbiamo 100mila casi ogni giorno, che non aumentano ma che diminuiscono di poco, l'Rt è chiaro che rimane costante. Il numero assoluto di casi è comunque molto elevato. Sappiamo che i contagi sono diminuiti in media questa settimana di quasi il 30% e che c'è un andamento in diminuzione per cui nel corso di due settimane dai 1000 casi per 100mila che abbiamo osservato finora potremmo arrivare ad un dimezzamento.
Ma ciò non vuol dire che stiamo bene, perché 500 casi per 100mila abitanti sono sempre tanti. Si tratta per altro di una situazione abbastanza variegata, perché non tutte le regioni sono entrate in questa ondata nello stesso momento e non tutte hanno le stesse condizioni epidemiologiche. Ad esempio ora risalta agli occhi cosa sta succedendo in Sardegna, che sta vedendo aumentare di molto i casi identificati e quindi in proiezione futura, a parità di condizioni, l'Isola potrebbe addirittura vedere quintuplicati i contagi nel giro di due settimane".
La Fondazione Gimbe nel suo dossier settimanale ha definito l'ottimismo che circola in questo momento come "eccessivo". È d'accordo?
"L'ottimismo è legato al fatto che vediamo una tendenza alla diminuzione, ma il numero di infezioni osservate resta elevato, quello dei ricoveri nei reparti ordinari è aumentato di tre volte e quello in terapia intensiva è invece leggermente diminuito. La situazione è abbastanza fluida, di fatto è molto difficile fare previsioni. Noi sappiamo che la maggior parte delle infezioni al momento è legata ad Omicron, della quale stanno emergendo diverse famiglie con caratteristiche differenti. Omicron però non è una evoluzione della variante Delta, sembra più legata direttamente al primo ceppo per cui alcuni biologi molecolari mettono in guardia sul fatto di non poter fare previsioni su come cambierà in futuro. Qualcuno in effetti dice che la capacità di Omicron è quella di infettare più rapidamente le cellule delle alte vie respiratorie e quindi di dare meno polmoniti. Il che potrebbe giustificare il fatto che abbiamo più ricoveri nei reparti ordinari. È anche vero però che il numero dei decessi permane abbastanza elevato".
Cosa si può dedurre da questo?
"L'idea che nei reparti ordinari il numero dei pazienti sia aumentato non è un buon segno perché se andiamo a vedere le casistiche pubblicate dall'Iss sulla mortalità fino a dicembre, quando è stato presentato il report che dice dove sono deceduti i pazienti per Covid, vediamo che a seconda dell'età c'è una grandissima differenza e che solo meno della metà delle vittime sono ricoverate in terapia intensiva, tutti gli altri decedono in area medica. Quindi non è detto che avere molti ricoveri nei reparti di medicina ordinaria voglia dire che ci sono casi meno severi. Io in questo momento mi sento di essere relativamente ottimista sul fatto che il numero tenda a decrescere, sul fatto che alcune restrizioni potranno per necessità essere abbandonate ma non direi che la situazione è buona perché ci sono ancora troppe infezioni".
Quale è la fascia di popolazione più esposta all'infezione in questo momento?
"La fascia pediatrica è ancora la protagonista dell'ondata in corso. È un bacino di soggetti suscettibili, che restano il carburante della pandemia. Quando tutta la popolazione sarà per la maggior parte immune, vuoi per i vaccini o perché guarita dalla malattia, allora finirà la fase pandemica ed entreremo in situazione di convivenza come succede per altre malattie di tipo respiratorio, ma è molto difficile capire come evolverà, anche perché non è una situazione statica".
Da domani non sarà più obbligatorio usare le mascherine all'aperto, ed è possibile che dal 31 marzo ciò avvenga anche al chiuso. Come giudica questa decisione?
"Secondo me le mascherine all'aperto probabilmente non hanno più molto effetto, in condizioni particolari invece indossarla ancora, come in ambienti chiusi e con rischio di assembramento, come le scuole, ha senso. È una barriera meccanica che se utilizzata adeguatamente è efficace a fermare la trasmissione virale. È anche vero che le norme devono tenere conto della fattibilità e non solo dell'efficacia in termini di salute che possono comportare. Certo, correre verso una liberalizzazione totale, come sta succedendo in alcuni paesi europei, francamente non sembra giustificata dai dati. Evidentemente le decisioni di sanità pubblica devono tener conto dei dati scientifici, ma quando questi non sono sufficientemente chiari come spesso accade, ci si basa su altre valutazioni. Sarebbe importante esplicitare quali sono e che ogni volta che viene presa una decisione venisse spiegato il razionale e perché si è privilegiata una opzione piuttosto che un'altra. Così, se anche le norme vengono modificate, rimane la consapevolezza individuale e la capacità delle persone di potersi cautelare e prendere i propri provvedimenti".
A proposito di liberalizzare, il Regno Unito ha annunciato che presto eliminerà l'isolamento per i positivi…
"L'idea di non tenere isolate le persone infettive soprattutto se hanno sintomi mi sembra molto pericolosa. Più l'infezione viene lasciata libera di circolare più le persone fragili possono essere esposte ad un rischio che è ancora presente e i 400 morti al giorno che ancora oggi registriamo ne sono una triste conferma".