Roberto Saviano spiega i rapporti tra ultras e mafie: “Biglietti, parcheggi, magliette e tanta coca”

Dopo l’operazione che ha decapitato le curve di Milan e Inter, Roberto Saviano ripercorre per Fanpage.it i rapporti tra criminalità organizzata e il mondo delle curve. Un intreccio quello tra clan e ultras che ha al centro interessi milionari, ricatti ai grandi club e un fiume di droga.
A cura di Valerio Renzi
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Il 30 settembre scorso un'operazione della Procura di Milano ha decapita i vertici dei gruppi ultras di Milan e Inter. Finiscono in carcere tra gli altri Luca Lucci, al vertice del tifo organizzato rossonero, e Marco Ferdico il capo della Nord neroazzurra con Andrea Berretta, già in custodia cautelare per l'omicidio di Antonio Bellocco. Proprio l'assassinio avvenuto il 4 settembre a Cernusco sul Naviglio dà l'impulso finale per gli arresti dopo due anni di indagini. Un'inchiesta che porta alla luce gli interessi del tifo organizzato, tra stadio e traffico di droga, tra violenza e tentativi di entrare in affari puliti, ma anche l'intreccio tra ‘ndrangheta e ultras.  Con un video della serie My Way, Roberto Saviano racconta su Fanpage.it l'omicidio di Bellocco e ripercorre le strade che di quello che dagli spalti degli stadi italiani portano alla criminalità e viceversa. Sullo sfondo società di calcio spesso sotto ricatto, che vedono e faticano a denunciare e prendere le distanze fino in fondo.

Se Beretta abbiamo già detto essere uno degli elementi di vertice della curva nord di San Siro, quello che non abbiamo detto è che ha iniziato la sua scalata dopo l'omicidio avvenuto nel 2022 dello storico capo ultras Vittorio Boiocchi. Per prendere il controllo della curva, stringe rapporto con la ‘ndrangheta, segnatamente con Bellocco che rampollo di una delle famiglie dell'aristocrazia ‘ndranghetista.

L'omicidio di Bellocco e le mani della ‘ndrangheta sulle curve di Milan e Inter

"Ma come ha potuto pensare Beretta di compiere un omicidio così pesante mettendosi contro un clan come Bellocco di Rosarno?". Questa è la domanda da cui parte Roberto Saviano. Secondo quanto emerge dall'inchiesta che ha portato in cella i capi ultras di Milan e Inter, Beretta "era ormai certo che Bellocco volesse eliminarlo e ha giocato di anticipo", sfruttando "il tempo che al suo avversario serve per vedersi autorizzato dai locali di ‘ndrangheta", per vedersi autorizzato a compiere l'omicidio e quindi "sa che deve agire in fretta per tentare di salvarsi".

Ma perché Beretta entra nel mirino di Antonio Bellocco? "Perché voleva controllare tutta la filiera degli affari degli ultras dell'Inter", è la risposta. "Non voleva soltanto una fetta della torta in cambio del suo sostegno. Voleva controllare tutto". Un salto di qualità secondo Saviano, visto e considerato che storicamente "il rapporto di camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra con le tifoseria", è stato un rapporto di collaborazione. "Le mafie si consorziavano con gli ultras, che controllavano la vendita del merchandising prodotto però dalle imprese di mafia, vendevano il cibo e le bevande che arrivavano da società di distribuzione delle mafie. E ancora le percentuali su biglietti e parcheggi. Ma sopratutto gli ultras spacciavano la loro droga dei clan dentro e fuori lo stadio", spiega.

A Bellocco però non basta un rapporto di questo tipo, vuole la "gestione di tutta la filiera", o vuole comunque trovarsi sopra agli altri capi della curva rendendo "gli ultras dei dipendenti" al suo servizio. Non ci sarebbe solo una ragione per questo cambiamento d'atteggiamento. "Gli ultras, innanzitutto, non sono uomini d'onore, non sono mafiosi, anche se collaborano con le organizzazioni mafiose non sono uomini d'onore. Sono indisciplinati, spesso esagerano con l'alcol o la coca, sono inutilmente bellicosi e spesso legati all'estrema destra. Sono insomma troppo esposti a facili indagini e arresti, che compromettono affari potenzialmente immensi", per questo (e perché vuole di più) ecco che Bellocco comincia a non fidarsi più dei suoi soci, vuole controllare affari e conti.

I ricatti degli ultras e delle mafie ai grandi club di calcio

Se questo succede tra le strade e gli spalti, se questi sono gli affari criminali che avvengono in bella vista, anche le società hanno le loro responsabilità. "Spesso e volentieri rispondono “signorsì” alle richieste dei gruppi del tifo organizzato, perché si sentono ricattabili.  – spiega Saviano – Perché per far sospendere una partita, far comminare multe, far perdere punti in classifica, basta organizzarsi. Basta un coro razzista o un lancio di oggetti in campo. Oppure possono mettere pressione alle società mettendo gli allenatori e i giocatori nel mirino delle contestazioni". Gli ultras, e con loro le mafie in molti casi, possono dunque garantire l'ordine o il disordine negli stadi. E questo gli dà molto potere. "E di fatto il ricatto su quasi tutti i grandi club,  e su moltissimi club medi e piccoli, è continuo. Le società sanno benissimo nomi, volti, interessi, ma non denunciano quasi mai .Juve, Inter, Milan da anni sanno benissimo che la ‘ndrangheta e i loro ultras sono inesorabilmente legati. Ancor di più sanno che narcotraffico e calcio sono mercati saldati". Una realtà che va avanti non da oggi: "Nel 2014 la Juve ricevette pressioni sull'assegnazione degli appalti. All'epoca Andrea Agnelli riuscì a non cedere a queste minacce, ma in un'intercettazione telefonica il suo spavento è molto eloquente. Dice al manager responsabile della sicurezza della Juventus, Alessandro D'Angelo, riguardo al capo ultrà dei Vikings che gli faceva pressione, Lorenzo Grancini: ‘Il problema è che ha ucciso della gente'. E l'altro gli risponde: “Ha mandato a uccidere della gente”. Come dire, non è semplicemente un teppista violento, è  un'organizzazione".

Capi ultras e narcotrafficanti

Ci sono gli interessi legati a parcheggi e biglietti, al merchandising dicevamo, ma soprattutto c'è la cocaina e l'hashish. I capi ultras sono sempre più spesso narcotrafficanti in proprio e per conto dei clan. Lo stadio stesso è una piazza di spaccio, e poi è naturale che "gli ultras siano degli ottimi terminali per il traffico perché hanno contatti, uomini fidati e sono spesso e volentieri già dentro a fare illeciti". Il modello di questa figura ibrida tra capo del tifo organizzato e narcotrafficante è Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, cresciuto all'ombra dei clan Senese e capo indiscusso degli Irriducibili della Lazio: il 7 agosto del 2019 viene freddato da un killer al Parco degli Acquedotti, un omicidio che sconvolge gli equilibri criminali della capitale, un omicidio di mafia.

"A volte capita che persino gli scontri tra tifoserie siano dovuti agli accordi saltati sulla droga – racconta ancora lo scrittore di Gomorra – Ci sono moltissime versioni, siamo ancora al ‘si dice', ‘sembra che' e chissà se verrà mai confermata dalle inchieste delle procure, ma dietro agli incidenti tra i tifosi dell'Eintracht e quelli del Napoli, ci sarebbe proprio un mancato accordo. Sembrerebbe che fosse stato garantito ai tifosi dell'Eintrach un acquisto di droga a basso costo o quantomeno a un costo conveniente, ma vedendo ‘l'antipatia' con cui i tedeschi si presentano in città, il gruppo ultras che aveva organizzato l'accordo si tira indietro. A quel punto esplode la tensione".

"Il narcotraffico è il principale profitto di molte organizzazioni ultras.  A riprova di questo, per esempio, quando viene arrestato nel 2018, Luca Lucci, il capo della Curva Sud del Milan, viene sorpreso dalle telecamere mentre sta ricevendo droga direttamente dalla Spagna e per mano dei clan albanesi con cui era alleato, si dichiara colpevole e accetta una condanna a 18 mesi". Come abbiamo visto è tornato in carcere da qualche giorno, anche lui è finito nell'inchiesta della Procura di Milano, ma vale la pena ricordare perché era finito sulle prime edizioni dei tg: "Lucci è diventato famoso alle cronache nazionali, perché strinse la mano in una foto a Matteo Salvini il quale, sorpreso nello scatto tra tifosi indagati, molti di loro per narcotraffico, disse ‘Indagato tra indagati'".

La camorra in curva: il caso Napoli

Per Saviano invece una storia a sé è quella del Napoli, dove per lungo tempo la geografia delle curve rispecchiava quella dei clan di camorra fuori lo stadio. "C'è stato un intero gruppo ultras, Teste Matte, che venne identificato proprio come un'organizzazione criminale dedita al narcotraffico". Tutti si ricorderanno poi Genny ‘a carogna, al secolo Gennaro De Tommaso, oggi collaboratore di giustizia trattare per l'interruzione della finale di Cappa Italia tra Napoli Fiorentina. Anche lui era un narcotrafficante della camorra legato al clan Contini. Con l'arrivo di De Laurentiis le cose però sono cambiate, e la nuova proprietà ha iniziato ad allontanare gli interessi dei clan: "Per questo ha pagato un prezzo. I giocatori sono stati bersagliati e ancora vengono bersagliati da continui furti. Chi ruba sa benissimo che sta spaventando il calciatore, che sta mettendo pressione alla squadra. Hamsik, Cavani, Lavezzi, Aronica stono stati tutti derubati, e probabilmente erano messaggi chiari". Così il Napoli e allo stesso tempo una società il cui tifo organizzato è storicamente legato ai clan, ma anche una delle più attrezzate negli ultimi anni ad allontanarli.

Il tentativo della camorra di prendersi la Lazio

C'è stato però un tentativo che la camorra fece di diventare direttamente proprietaria di un grande club. Si tratta della Lazio. "Nel 2006, la camorra deve portare decine di milioni di euro fermi in Ungheria, in Italia e tramite gli Irriducibili, che avvicinano Giorgione Chinaglia, ci provano. Usano questa figura, i loro soldi e l'alleanza con gli ultras, per prendersi la Lazio. Non ci riuscirono. Fu un'operazione troppo maldestra, che insegnò alle organizzazioni criminali che, esattamente come fanno con la politica è meglio stare dietro, che metterci direttamente il volto".  "Il calcio italiano è malato. Ma non preoccupatevi, ormai è passata più di una settimana dalla vicenda e non se ne parlerà più. Potremo tornare tutti a divertirci", conclude Saviano.

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