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Roberto Saviano: “Sarebbe stato meglio se mi avessero ammazzato: la mia vita finita a 26 anni”

In un lungo articolo pubblicato su Corsera Roberto Saviano parla dei lunghi anni sotto scorta e delle continue lotte con se stesso e con gli altri. Lo fa all’indomani della pubblicazione delle motivazioni delle condanne al boss Bidognetti e al suo legale per le minacce rivolte a lui e alla giornalista Rosaria Capacchione: “Sarebbe stato meglio se mi avessero ammazzato. L’ho pensato e lo penso ancora”, scrive.
A cura di Chiara Ammendola
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Sarebbe stato meglio se mi avessero ammazzato. L'ho pensato e lo penso ancora. A dirlo è Roberto Saviano in un lungo articolo-sfogo pubblicato questa mattina su Corsera che racchiude le emozioni e i pensieri dello scrittore all'indomani della pubblicazione delle motivazioni delle condanne al boss Bidognetti e al suo legale per le minacce rivolte a lui e alla giornalista Rosaria Capacchione. "Avevo 26 anni e ora ne ho 42. Vivere sotto costante artiglieria ti fa vivere nella paura della morte? Magari. Ti fa augurare la morte", scrive Saviano ricordando i momenti in cui ha dovuto incassare le accuse di chi non credeva a quelle minacce e riteneva eccessiva la scorta, quella scorta con la quale convive da anni, rinunciando di fatto a una vita ordinaria.

"L’orrida invidia delle ciurme di mestieranti: invidia di cosa poi, di questa merda? Le piazze piene? I teatri tracimanti di persone? I milioni di libri venduti? La credibilità internazionale? Prendeteveli, maledetti bastardi – si legge nell'articolo – vorrei smettere di essere il bersaglio privilegiato di quella massa di lestofanti che per negare una tua presa di posizione o anche una tua idea non sono capaci di farlo argomentando, criticando. Devono cercare il lercio, l’errore, il buco nel calzino, l’unghia sporca. E ora che ci faccio con questa sentenza? Cosa ci faccio con la verità processuale? Se avessi modo, vorrei solo carezzare uno per uno il viso di chi c’è stato, di chi c’è, di chi legge e di chi mi ha difeso. Sussurrare che mi hanno salvato la vita o quel che ne rimane. Dire a queste lettrici, a questi lettori, a chi mi ha dedicato un pensiero, un post, persino una preghiera, che devo tutto a loro. Tutto? Non tutto, ma la parte buona: quello che di me non è peggiorato, non è diventato cinico, non è incattivito, non è crollato al cospetto della delusione".

E poi conclude ringraziando gli uomini della scorta ed esprimendo il desiderio di poter essere finalmente libero: "E ora cosa mi rimane? Aver avvelenato la vita di chiunque mi fosse accanto in qualsiasi forma e che io non sono stato capace di difendere da quello che provavo e dalle scelte che facevo – scrive Saviano – mi chiedo perché sto condividendo questi pensieri con voi, anche se oramai non ci credo più che per me possa cambiare qualcosa? Perché lo devo ai miei carabinieri, che in questo istante sono davanti a me, silenziosi, e che non capiscono oggi qual è il dolore del giorno: se un mio cedimento, la tensione di una lotta o chissà cosa. Ma ci sono e basta. E mi sopportano. E mi chiedo quanto deve essere pesato anche a loro vivere blindati con me, sentendo quest’infinito cachinno addosso ma con la necessità di dover presidiare ogni spazio. E ora? Ora non faccio proprio nulla. Quello che ti è stato tolto non torna più, inutile pensare che ci sia il tempo di rimediare. Non sono in grado nemmeno di dirmi che ne è valsa la pena. Non torna più nulla. Avevo solo 26 anni e ora se potessi chiederei solo di camminare libero. Null’altro".

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