Rigopiano, portò fiori sul luogo della tragedia per il figlio morto: Alessio Feniello a processo
Violando i sigilli posti dalle forze dell'ordine, era entrato nella zona rossa della tragedia dell'Hotel Rigopiano con lo scopo di portare un fiore in ricordo del figlio scomparso. Per questo ora Alessio Feniello, il papà di Stefano, una delle vittime della tragedia di Farindola, sarà processato dal Tribunale di Pescara per aver violato l’area interdetta e posta sotto sequestro dalla magistratura. A rivelarlo è stato lo stesso Feniello attraverso Facebook , assicurando: "Ho sempre sostenuto che avrei affrontato il processo e io non mi tiro indietro come fanno molti politici". Per il suo gesto infatti Feniello era stato già condannato dallo stesso tribunale abruzzese con un decreto penale che prevedeva una sanzione pecuniaria consistente in un'ammenda di 4.550 euro ma lui aveva deciso di non pagare, opponendosi al provvedimento attraverso il suo legale.
Ora, come atteso, per Feniello è arrivato il decreto di “giudizio immediato” firmato dal gip di Pescara Elio Bongrazio. La prima udienza davanti al Gup di Pescara è fissata per il prossimo 26 settembre. Come recitava il decreto di condanna penale, all'uomo viene contestato l'essersi introdotto abusivamente nell'area interdetta "permanendovi nonostante ripetute diffide e inviti a uscirne rivoltigli da appartenenti alle forze dell'ordine r addetti alla vigilanza del sito”. “Io non pago e se necessario faccio tre mesi di carcere" aveva ribattuto però Feniello, aggiungendo: "invito il magistrato a fare i processi seri visto che è pagato da noi contribuenti italiani. Quelli che non hanno fatto niente per salvare 29 persone a Rigopiano stanno tutti ancora a piede libero e io devo pagare. Secondo voi io cosa ho da perdere?"
Il provvedimento di condanna era stato contestato nel merito anche dal suo legale, l’avvocato Camillo Graziano, che così aveva commentato: "È stato condannato in otto mesi e non è mai stato sentito. Di questo provvedimento noi non abbiamo avuto notizia fino all’emissione del decreto penale. Non c’è stato neanche un avviso di garanzia, con la possibilità di chiedere un interrogatorio". Dello stesso reato era stata accusata inizialmente anche la moglie dell'uomo e madre di Stefano che era in compagnia del marito ma per lei era arrivata l'archiviazione. “Non mi spiego la diversità di trattamento”, aveva spiegato il legale.