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Rezza (ISS): ‘Zero contagi da coronavirus a maggio? Modello non considera focolai’

Avere contagi zero per i primi di maggio, come indicato da alcuni modelli matematici, è una “previsione ottimistica”. Lo spiega Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, che aggiunge: il modello non tiene conto della possibilità di nuovi focolai epidemici, che scoppierebbero se il virus dovesse continuare a circolare in Italia.
A cura di Nico Falco
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Giovanni Rezza
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Avere zero nuovi contagi entro un mese, per i primi di maggio, sarebbe una previsione "troppo ottimistica". Lo spiega Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, che sottolinea il fattore che potrebbe rendere non verosimile i dati del modello matematico usato per la previsione: l'eventuale comparsa di nuovi focolai epidemici, che scoppierebbero di volta in volta se il virus dovesse continuare a circolare in Italia.

Rezza, ai microfoni dei "Lunatici" su Rai Radio 2, ha parlato anche del motivo della letalità maggiore del Coronavirus in Italia e in Lombardia rispetto ad altre zone. Il motivo, spiega, non sarebbe nell'inquinamento ambientale, ma nell'età media della popolazione e nello stress del servizio sanitario nazionale. In sostanza, l'esito infausto sarebbe determinato dal fatto che molti dei contagiati sono anziani e con tante patologie di base; inoltre, l'aumento del tasso di letalità sarebbe incrementato dalla carenza di posti letto negli ospedali rispetto a quanti sarebbero necessari per una pandemia del genere, il che comporta che non tutti possono essere ricoverati e assistiti in tempi rapidi. "Ma la Lombardia – aggiunge – ha un sistema ospedaliero molto forte, e gli operatori sanitari hanno fatto un grande sforzo per assicurare al maggior numero di persone la migliore assistenza".

Sul numero reale di persone infettate, e sull'ipotesi che in Italia possano esserci 10 milioni di immuni, Giovanni Rezza taglia corto: "Questa è una cosa che nessuno sa. Non so come escano fuori questi numeri. Anche i modelli possono sbagliare. Pensare che il dieci percento della popolazione italiana si sia già infettata è veramente improbabile. Io dico magari. Vorrebbe dire che moltissima gente si è infettata senza saperlo – conclude – e quindi per il virus la vita diventerebbe più dura. Io non credo però che le cose stiano così e solo gli studi di sieroprevalenza ben fatti potrebbero dirci la verità".

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