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Reggio Calabria, zero asili nido pubblici: sono finiti i soldi

L’amministrazione reggina è commissariata per infiltrazioni mafiose. I fondi sono stati stanziati, ma non si possono usare fino all’anno prossimo. E i privati ne approfittano.
A cura di B. C.
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A Reggio Calabria non ci sono asili nido pubblici. L'unica possibilità per le famiglie è affidare i propri bambini ad una struttura privata, pagando una retta mensile che si aggira sui 300-400 euro a persona. Lo scrive oggi il Corriere della Sera. "Fino a giugno 2012 le famiglie meno abbienti reggine potevano contare su due strutture pubbliche, quella di Archi e Gebbione, zone ad alta densità mafiosa. Centoventi posti in tutto a fronte di una domanda che sfiora le cinquemila richieste. I due asili a giugno del 2012 sono stati chiusi ufficialmente perché inagibili. Un terzo, nato per ospitare i figli dei dipendenti comunali, degli avvocati e cancellieri che frequentano il Centro Direzionale, ha chiuso i battenti la scorsa estate. Non c’erano più i soldi per la nuova convenzione".

Lo scorso 14 dicembre, la Commissione Straordinaria che governa Reggio Calabria, dopo che il Consiglio Comunale è stato sciolto per contiguità mafiosa nell'ottobre 2012, ha presentato un piano di intervento per i servizi dell'infanzia  In gioco ci sono 1.300.000 euro stanziati dal Ministero della Coesione Territoriale, la cui destinazione riguarda appunto la costruzione di nuovi nidi pubblici e la manutenzione di quelli esistenti. Ma a discutere delle risorse pubbliche sono stati chiamati solo i servizi sociali, i privati con interessi nel pubblico, ma non i genitori. Per questo motivo è scesa in campo Actionaid, l’organizzazione mondiale che si dedica alla lotta alla cause di povertà e di esclusione sociale. “Saremo vigili e attenti affinché il programma delle opere sarà realizzato – ha spiegato la responsabile reggina Eleonora Scrivo -. Il contributo di Actionaid è nato anche con la pretesa di veder sancito il principio emanato dalla direttiva europea del 2002. Poche righe per spiegare che “per conciliare vita familiare e lavorativa, le amministrazioni devono garantire i servizi di cura ad almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni”.

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