Reggio Calabria, viaggio tra gli invisibili della società, cinque morti in quattro mesi
Dormono a terra su materassi di fortuna. Sono i senza dimora che vivono per le strade di Reggio Calabria e che, quando cala la sera, si rifugiano in una struttura diventata a tutti gli effetti un dormitorio abusivo. «Meglio in carcere che vivere in questo modo, magari lì ho la doccia, l'acqua, la luce. Vedi quanta sporcizia», racconta uno dei senzatetto che qui si creato una sua stanzetta. «Sono bisticciato con mia moglie, a casa non posso tornare, strutture per dormire nessuna, che faccio? Salgo su un albero? Dentro non si può stare, fuori neanche, non posso scappare perché le frontiere sono chiuse e quindi sto così», dice ancora.
Attorno a questi invisibili ai margini della società, ruota tutto un sistema di volontariato, dalla Caritas all'Help center Casa di Lena, fino agli scout e alle altre associazioni che quotidianamente offrono sostegno e supporto a queste persone. «C'è un'umanità variegata alcuni si sono trovati in strada volontariamente, altri invece per colpa delle dipendenze o delle marginalità vivono così. Ci sono tanti giovani e perfino delle donne», spiega Antonello Praticò, volontario scout Agesci RC7. Una situazione di degrado che va avanti ormai da anni in questo ghetto a due passi dal centro della città.
«Non ci sono delle strutture comunali in cui dormire e la sussistenza dei senzatetto, i servizi che girano intorno a loro sono per lo più gestiti dai volontari sia per le mense, che per il vestiario e anche noi mettiamo le nostre professionalità al loro servizio, chi fa l'avvocato, chi fa il medico, li supportiamo in tutto», continua Praticò.
All'assessorato comunale alle Politiche sociali incontriamo Lucia Anita Nucera. «Ringrazio le associazioni perché è vero che molti servizi vengono svolti dai volontari, ma l'amministrazione si occupa dei senza dimora, non abbiamo chiuso un solo giorno durante la pandemia, cercando di rispondere ai bisogni di tutti», spiega l'assessore.
Servizi erogati con fondi europei, visto che il comune è in dissesto. «Durante la pandemia con la Protezione civile abbiamo allestito delle docce, ecco le posso dire che sono pochissimi coloro che ci sono andati, così come nella struttura che avevamo predisposto a dormitorio: 50 posti letti e solo tre, quattro persone a notte. Molti non accettano delle soluzioni, la loro è una scelta di vita», aggiunge. Struttura che adesso non è agibile per via di un incendio scoppiato qualche tempo fa.
Da dicembre, in città sono morte quattro persone senza fissa dimora. All'Help center vicino la stazione centrale reggina, alle 9 del mattino c'è già la fila fuori. C'è chi aspetta un caffè, chi qualche indumento. «Signora Bruna, c'è per caso un giubbotto? La sera ancora fa freddo». Bruna Mangiola non è solo una volontaria, ma colei che insieme al direttore della Caritas don Nino Pangallo, suor Loriana responsabile del Centro d'Ascolto "Don Italo Calabrò" di Archi e tanti altri, hanno creato un sistema di solidarietà diffusa per i bisognosi e le fasce deboli. «Perché- spiega Bruna Mangiola- non c'è bisogno solo di una coperta, ma di creare empatia, relazione con queste persone che se abbandonate, si lasciano morire, come è successo a questi quattro ragazzi che con il lockdown, si sono sentiti ancora più soli».
Secondo la volontaria:«Le amministrazioni anche scorse, non hanno mai pensato a risolvere questo problema dei senza dimora, noi aiutiamo le persone nel bisogno immediato e anche dopo però noi a un certo punto ci dobbiamo fermare, non siamo le istituzioni, non possiamo fare più di quello che facciamo». Ma l'amministrazione chiosa: «Daremo presto delle risposte,stiamo lavorando su due misure: l'unità di strada e un dormitorio in un bene confiscato in ottimo stato che sarà messo a bando a breve».